AGI - Il cianuro o il processo, la salvezza della famiglia o la possibilità ipotetica di denunciare pubblicamente in un'aula di tribunale asservito al nazismo i crimini di Hitler. Erwin Rommel il 14 ottobre 1944 scelse di avvelenarsi poco lontano dalla sua casa di Herrlingen, dove c'erano la moglie Lucia e il figlio Manfred. Risparmiò così ai suoi cari la tremenda applicazione della Sippenhaft dell'antico diritto germanico, la responsabilità collettiva che è un'aberrazione del diritto penale, riesumata dal regime nazista dopo l'attentato al Führer del 20 luglio 1944 che aveva scatenato la giustizia sommaria e la vendetta sui responsabili dell'Operazione Walkiria a partire da Claus von Stauffenberg e, appunto, sui loro familiari. Un bagno di sangue e processi-farsa condotti dal famigerato giudice Roland Freisler che si concludevano con condanne a morte e deportazioni nei lager. Rommel era scampato alla prima ondata di repressione e il suo ruolo nel complotto, comunque marginale, era rimasto sottotraccia. Ferito il 17 luglio nel corso di un attacco aereo alla sua autovettura, aveva dato l'assenso al piano di rimuovere Hitler e cercare un accomodamento per fare la pace con gli Alleati, almeno quelli occidentali, per salvare la Germania dall'annientamento.
Dal capolavoro di Caporetto alla "Volpe del deserto" dell'Afrika Korps
Con le imprese alla testa dell'Afrika Korps Rommel era diventato il generale preferito dal Führer, per quanto avversato dalla casta prussiana che ne parlava con sufficienza frammista a disprezzo come de «lo svevo». Non proveniva infatti né dallo stato che aveva fondato l'impero, né da una famiglia di tradizioni militari. Ci aveva pensato lui a crearne una, percorrendo tutta la trafila da allievo ufficiale a Feldmaresciallo, dimostrando qualità che l'hanno fatto entrare nella storia e nella leggenda, anche con la sopravvalutazione delle effettive capacità. Nato nel 1891 a Heidenheim, voleva fare l'ingegnere ma era stato il padre ad avviarlo a una carriera sotto le armi. Con i gradi di tenente, al comando di un plotone di truppe d'assalto della fanteria da montagna dell'esercito imperiale del Kaiser, applicando originali tattiche di infiltrazione mise a soqquadro le linee italiane nel 1917 a Caporetto,colse uno strepitoso successo che contribuì non poco al disastro generale. Non a caso colse sul campo di battaglia la più alta onorificenza, il Pour le Mérite (o Blue Max dal colore del nastrino), mettendosi in mostra nella nuova generazione di ufficiali. Con la rinascita della forza militare tedesca sotto il Terzo Reich per Rommel si schiusero prospettive altrimenti impensabili e lo scoppio della seconda guerra mondiale gli diede lo scenario per dimostrare la propria caratura. Ambizioso, sicuro di sé e insofferente alle ingerenze, con l'Afrika Korps creò il suo mito che gli valse l'appellativo di “Volpe del deserto”.
Grandi abilità tattiche ed errori strategici
Tattico geniale, temuto, rispettato e ammirato anche dal nemico, era meno versato alla strategia e fu tutto suo il grave errore di sospendere i piani di invasione di Malta credendo di poter prendere Alessandria d'Egitto, che sembrava alla portata degli italo-tedeschi. Non assistette alla sconfitta dell'Asse in Africa perché richiamato in Germania per non comprometterlo, ma non per questo accettò il responso della storia la cui bilancia era stata influenzata dallo strapotere alleato nei mezzi: «date dieci carri armati a me e dieci a Montgomery – dirà – e poi vediamo come va a finire». Mai tenero con gli italiani, nonostante l'amatissima moglie Lucia fosse figlia di italiani emigrati a Danzica, fu fulmineo ed efficace nel settembre 1943 nel mettere in applicazione il piano Achse di neutralizzazione del Regio Esercito nel Nord Italia disarmando intere divisioni e avviando alla deportazione centinaia di migliaia di soldati. Dopo aver realizzato le difese antisbarco sulla costa settentrionale della Francia e curato il Vallo Atlantico, fino all'ultimo rimase convinto che l'attacco in Normandia era un diversivo. Si era preso una licenza proprio alla vigilia del D-Day.
La disillusione per il Terzo Reich e la vendetta del regime nazista
Hitler stravedeva per lui, che però aveva aperto gli occhi e non stravedeva più per il Führer che aveva ammirato e al quale doveva una carriera strepitosa ripagata dalla gloria personale e quella di riflesso al Terzo Reich. Era stato avvicinato a febbraio 1944 dai congiurati perché una personalità come la sua avrebbe dato peso e legittimazione all'Operazione Walkiria e perché lui avrebbe avuto un ruolo nella nuova Germania denazificata dall'interno: peraltro, non aveva mai preso la tessera del partito e non si era mai interessato di politica. Non gli confidarono che l'intenzione era di uccidere Hitler, atto considerato un tradimento per il giuramento di fedeltà prestato dai soldati, limitandosi a dirgli che andava destituito e sostituito. Non partecipò al complotto se non con un'adesione d'intenti che però emerse nell'inchiesta del Sicherheitsdienst e della Gestapo per i sospetti di Martin Bormann.
Inutilmente il Feldmaresciallo respinse le accuse ribadendo la sua fedeltà a Hitler. Ma Rommel non era uno che si potesse eliminare dall'oggi al domani, degradandolo, espellendolo dall'esercito e giudicandolo davanti alla corte marziale per alto tradimento, senza innescare riflessioni nel popolo tedesco, come fatto con i generali e gli alti ufficiali del 20 luglio uccisi sommariamente, umiliati pubblicamente nei processi dall'esito scontato e poi giustiziati anche con modalità aberranti, come nel caso dell'ammiraglio Wilhelm Canaris, capo dell'Abwehr (Servizio segreto militare) che il 9 aprile 1945, nel lager di Flossenbürg, sarà impiccato a una corda di pianoforte. Il 14 ottobre a Rommel il regime offrì un'opzione sotto forma di una capsula di cianuro, garantendogli la salvezza della sua famiglia e funerali di Stato, poiché all'opinione pubblica sarebbe stata fornita la versione di morte per cause naturali derivate dal ferimento nell'attacco aereo.
La carriera nel dopoguerra del figlio Manfred
E così fu, quello stesso giorno di ottanta anni fa, dopo aver comunicato la sua decisione a Lucia e Manfred. Il figlio, all'epoca militare della Luftwaffe (il padre si era opposto al suo arruolamento nelle Waffen SS), nel dopoguerra intraprenderà la carriera di avvocato e quella politica che lo porterà a essere sindaco di Stoccarda nelle fila della Cdu per tre mandati, con percentuali di voto impressionanti e stima incondizionata in patria e all'estero per il suo alto profilo morale e di amministratore. Nel 1986 la Repubblica italiana gli assegnerà l'onorificenza di Grande Ufficiale.