AGI - La prova del nove sarà l'Umbria. A questa regione sono appese le speranze dei dem di rendere la tornata delle regionali un successo, nonostante la sconfitta subita in Liguria. Perchè, se è vero che il 'triplete' era considerato un obiettivo ambizioso, ribaltare il 2-1 iniziale a favore del centrodestra in un 1-2 per il centrosinistra è, ora, l'obiettivo minimo (dato che neppure il più pessimista fra i dem arriva ad evocare lo spettro della sconfitta in Emilia-Romagna). Gli alti ranghi del Pd, pur scossi dalla vittoria di Marco Bucci, credono nella 'remuntada' e rimandano ogni discussione interna su quanto avvenuto e su quanto è da fare a dopo il doppio appuntamento di novembre.
Una fiducia alimentata soprattutto dal fatto che la candidata di centrosinistra, Stefania Proietti, gode dell'appoggio di tutto il fronte delle opposizioni, Calenda e Renzi compresi. E cosi' Michele De Pascale in Emilia-Romagna. Il 'nodo' delle alleanze rimane, pero', sul tavolo.
E, anzi, è considerato la prima causa della sconfitta di Orlando. Perchè è convinzione comune tra i dem che Orlando non abbia responsabilità nella sconfitta subita. Lo dicono che attestazioni di stima arrivate al candidato dem da più parti, dalla maggioranza come dalla minoranza del partito. Ma lo dicono soprattutto i numeri. Ci sarebbe stato, osservano fonti del comitato Orlando, un effetto trascinamento del candidato visto che in Liguria il Pd raggiunge il 28,47% dei consensi a livello regionale, ai quali si aggiunge il 7% circa delle sue liste civiche, un'area che raccoglie oltre il 35% dei voti, ovvero il consenso di un terzo degli elettori.
A conferma di questo effetto viene citato il risultato di Spezia, dove il Pd raggiunge il 30% cui si aggiunge il 5,78% delle civiche legate direttamente al candidato, e Genova città dove il Pd arriva al 29,71% cui si aggiunge poco più dell'8% delle civiche di Orlando per un consenso complessivo di circa il 38%. "Siamo consapevoli che non bastiamo da soli, scontiamo anche le difficoltà degli altri e speriamo che questo risultato faccia riflettere tutte le forze alternative alla destra come fa riflettere noi che non abbiamo mai speso un minuto in polemiche o competizioni con le altre opposizioni perchè il nostro avversario è questa destra che vogliamo battere", dice la segretaria Elly Schlein. Una linea sottoscritta dal grosso del partito, sebbene con sfumature diverse. Stefano Bonaccini, ad esempio, aggiunge una postilla alle parole della segretaria sottolineando la necessità di "agire", oltre che di "riflettere", per la costruzione di una coalizione di centrosinistra.
Il candidato di centrosinistra in Liguria, infatti, si è visto 'azzoppare la coalizione che lo sosteneva dal 'niet' arrivato da Giuseppe Conte a Renzi. Dopo un lungo braccio di ferro, condizionato anche dall'approssimarsi della scadenza per la presentazione delle liste, i renziani si sono chiamati fuori e Orlando ha dovuto rinunciare a una lista che aveva al suo interno esponenti del partito di Renzi, esponenti di +Europa e altri. Una rinuncia che, stando ai flussi elettorali elaborati dall'Istituto Cattaneo, è stata fatale per il centrosinistra: l'elemento di maggiore rilievo nell'analisi dell'istituto è la considerevole fetta di elettori dell'ex terzo polo (Azione, Italia Viva, +Europa) confluita nelle liste dei partiti di centrodestra.
L'elefante nella stanza è, tuttavia, il magro risultato ottenuto dal M5s, fermatosi sotto quota 5 per cento. La domanda che ricorre nei conciliaboli parlamentari Pd è se sia conveniente continuare a sacrificare il rapporto con il mondo moderato e liberal in nome dell'asse con i Cinque Stelle. "Una lunga serie di sconfitte, per quanto ognuna con le sue caratteristiche, pone interrogativi sui mondi con cui il Pd vuole parlare, sulle rassicurazioni e le speranze da offrire a ceti, categorie e persone che ascoltano la destra, votano o rinunciano a votare", dice Deborah Serracchiani, deputata e responsabile Giustizia Pd.
Più netto ancora Beppe Sala: "Il M5S, sotto il 5%, conferma che non ci si puo' certo appiattire su un movimento che sta cercando un'identità e un principio di sopravvivenza", sottolinea il sindaco di Milano: "Ma cio' che palesemente è deficitario nel centrosinistra è la forza centrale, quella moderata, pragmatica, capace di riforme, europeista, una nuova componente liberal, che al momento ha una rappresentanza non definita".
Un fatto politico "rilevante che richiede una riflessione e una soluzione", conclude Sala. Da qui la necessità di un tavolo di coalizione, come chiede il segretario di Più Europa, e non solo. "Senza una cabina di regia è come fare un cubo di Rubik", osserva Orlando per poi aggiungere: "A partire dalla fine dell'estate, la gestione non ottimale del riavvicinamento con Italia Viva, ha creato tensioni anche nel Partito Democratico", un riferimento all'abbraccio fra Renzi e Schlein a cui non è seguito un lavoro di costruzione del fronte di centrosinistra.
Anche per Enzo Amendola se "la coalizione progressista in Italia è ancora un'ipotesi, non è solo per i veti. Non è tempo di nascondersi, serve un progetto politico credibile a Roma come sui territori", spiega l'ex ministro. Un altro esponente Pd di primo piano la mette cosi': non basta dire "non perdiamo un minuto in polemiche" o "siamo testardamente unitari", come ha fatto la leader dem: "Si rischia di banalizzare un tema che è politico e che diventa sempre più pesante con il passare del tempo".