AGI - "Marciare divisi, colpire uniti": sembra ispirarsi alla massima del feldmaresciallo Helmuth Karl Bernhard Graf von Moltke l'idea di Dario Franceschini di accantonare ogni velleità di alleanza strutturale del centrosinistra e presentarsi alle elezioni ciascuno per suo conto. Salvo, poi, fare accordi nei collegi in cui vige il maggioritario: "E' sufficiente stringere un accordo sul terzo dei seggi che si assegnano con i collegi uninominali per battere i candidati della destra", dice Franceschini dopo aver premesso che "l'Ulivo non tornerà e nemmeno l'Unione del secondo Prodi".
Un modo per consentire la nascita della coalizione in Parlamento, numeri alla mano. Un'idea avanzata dall'ex ministro della Cultura in una intervista e che è stata recepita con un certo favore fuori dal Partito Democratico. "Mi sembra una proposta interessante, che non stride con la collocazione politica del M5s", dice Stefano Patuanelli, capogruppo M5s in Senato. "Si può valutare. Le differenze ci sono, ma spesso sono all'interno dello stesso Pd", osserva l'esponente pentastellato. Più scetticismo si registra dentro il Partito Democratico dove l'idea non scalda i cuori, come ammette un esponente: "Abbiamo lavorato fin qui proclamandoci 'testardamente unitari', cosi' rischiamo di non farci capire", è il ragionamento offerto.
E la segretaria Elly Schlein, interpellata sul punto, liquida la faccenda: "Preferisco i temi concreti, non entrerei in questo dibattito". Ad essere sbagliata, per un deputato Pd, è la tempistica dell'uscita di Franceschini, a più di due anni dalle politiche. Troppo per aprire un dibattito che, se mira a cambiare la legge elettorale, deve essere fatto più a ridosso dell'appuntamento con le urne, per non perdere "l'effetto sorpresa".
A sollevare degli interrogativi, poi, è anche il fatto che Franceschini abbia deciso di parlarne alla vigilia di un tour di Elly Schlein in Veneto, lì dove i dem sperano di ottenere una vittoria storica alle prossime regionali contro il centrodestra. Una vittoria che passa soprattutto per una coalizione da opporre al centrodestra. La sconfitta in Liguria, come le vittorie in Emilia-Romagna e soprattutto Umbria, insegnano ai dem che si vince se si corre uniti. La condizione, però, è che ci sia un centro che faccia da polo attrattivo agli elettori moderati. Una condizione che non si è realizzata in Liguria per il veto posto da M5s e Avs - ma anche da Calenda - ai candidati di Italia Viva.
L'idea di Franceschini prevede di lasciare quel centro libero di correre, anche in più formazioni, per poi far pesare i suoi voti in Parlamento. Una prospettiva, questa, che sembra strizzare l'occhio anche a Forza Italia. Non a caso, dal partito azzurro arriva immediato lo stop di Maurizio Gasparri che definisce la proposta "una polpetta avvelenata" e assicura: "Franceschini vuole l'egemonia di un Pd minoritario e non l'avrà. Non ci sarà nessuna legge elettorale funzionale a lui e alla Schlein".
L'altra ipotesi sottesa al ragionamento di Franceschini è che si possa arrivare in tempi relativamente brevi a una modifica della legge elettorale. Difficile, visti i rapporti di forza in Parlamento e il peso elettorale di Fratelli d'Italia. "Posto che il ritorno alla legge proporzionale è impossibile, oltre che non desiderabile in termini di sistema, il punto è che il Pd non è ancora credibile come perno di un'alternativa di governo e che questo problema politico si pone sia con un sistema coi collegi uninominali sia col premio di maggioranza. E che non te lo possono risolvere gli alleati", dice il costituzionalista del Pd Stefano Ceccanti, vicepresidente di Libertà Eguale, l'associazione che si è riunita a Orvieto lo scorso fine settimana. "E' questo che abbiamo provato a dire a Orvieto e che per ora non sembra ispirare nella dirigenza reazioni coerenti ad esempio sui referendum sbagliati sul Jobs Act", aggiunge Ceccanti.