Milano è uno stato mentale

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AGI - Nell’ottobre del 2016 l’allora Direttore Letterario di Feltrinelli apparve in libreria in vesti d’esordiente con un romanzo intitolato ‘Un’educazione milanese’. Dopo aver aiutato a nascere centinaia di libri (e averne presumibilmente costretto ad abortire altrettanti, rifiutandone i manoscritti) un riconosciuto ‘guru’ dell’editoria sceglieva di abbandonare i confortevoli panni di giudice per vestire quelli scomodi di giudicato. Il rischio, non lieve, era che la critica - il suo stesso ambiente - decretasse che i romanzi sapeva leggerli, ma non scriverli.  

Da tempo, sappiamo come è andata a finire: il libro convinse recensori e giurie di premi, finendo per raggiungere anche il grande pubblico grazie alla conquista della cinquina dello Strega 2017. Ora, quasi un decennio (e tre romanzi ed un monologo in versi) dopo, il testo che da  dietro le quinte ha portato Alberto Rollo sotto i riflettori come autore torna sugli scaffali per Ponte alle Grazie arricchito di tre nuovi capitoli. Il motivo di questa ripubblicazione lo abbiamo chiesto proprio lui.  

Perché ‘Un’educazione milanese’ riappare in libreria? 

Mi è sembrato necessario far ritorno alla materia d’un libro la cui vita vorrei fosse ancora lunga. Perché Milano è un tema importante. Come per me lo è stato raccontare l’avventura umana che ho vissuto cercando d’interiorizzare la fisionomia d’una città che mi ha contaminato e lasciato crescere, senza però darmi radici. L’Italia è una grande provincia dalle tante radici, ma Milano, sua unica vera metropoli, ne è priva. Tuttavia possiede uno spirito, che mi appartiene. Per citare Billy Joel, il mio è un Milano state of mind.  Dopo la prima uscita con Manni, ‘Un’educazione milanese’ rivive perché questo stato mentale si è complicato al punto da convincermi a riaprire una porta su quelle pagine. Oggi la città è guardata con sospetto, come terra di corruzione urbanistica, come troppo ricca. Sono accuse anche fondate, ma vanno inserite nell’intarsio di  un mosaico più ampio e non possono toccare il dato di fatto che sia l’unica metropoli capace di trasformarsi. E le trasformazioni si pagano, in termini di spiritualità. Senza dubbio, ho affrontato il tema che la città incarna in termini più conflittuali della prima volta. 

Se dovesse presentarlo in una riunione di redazione in cui decidere se pubblicarlo, come descriverebbe ‘Un’educazione milanese’: saggio autobiografico, memoir, romanzo di formazione? 

Come detto in altre occasioni, si tratta di una ricognizione biografica, sociale e civile. Contiene il mio vagare, ricollegabile alla flânerie di Baudelaire che vagabondava per Parigi cercando e trovando ispirazione dalla città. Io l’ho riconosciuta ad ogni passo come una biografia. Perché la mia, indubbiamente, è stata toccata dallo spirito di Milano. 

La Milano operaria del fare bene, in cui lei si è formato, è madre del non comune lavoro sulla lingua che caratterizza il libro? 

La Milano del ‘fare bene’ continua a esistere e resta un valore da difendere. Spostandone la valenza sul piano stilistico letterario, premesso che non spetta a me dare giudizi sul mio lavoro, posso solo dire di essermi limitato a seguire un percorso seguendo i tratti dell’urgenza: quando sentivo di aver intrapreso una direzione non pertinente tornavo indietro, cercandone un'altra. Di certo, mi hanno influenzato la formazione letteraria, legata a poeti come Franco Fortini e Vittorio Sereni, e l’ammirazione per Montale. Quel tipo di lingua mi è sempre sembrata importante.

La Milano degli anni ’50, ‘60 e ’70 che lei racconta faceva rima con nebbia, ma nel libro, in gran parte ambientato ‘in esterni’ non se ne rinviene traccia: se facesse lo psicologo come lo spiegherebbe? 

La nebbia era già dentro al libro, compresa nel prezzo, non serviva trasformarla in componente scenografica. Il mio paesaggio interiore è nebbioso perché contiene l’amore per la città. Se invece si fa riferimento alla chiarezza della visione, mi viene di ricordare che in uno dei capitoli nuovi racconto di un ritorno alla cosiddetta Chiesa di Vetro di Baranzate, concreto esempio di architettura della chiarezza e della trasparenza. Una direzione che Milano ha provato a percorrere già negli anni ’50 con questo significativo episodio urbanistico: Nostra Signora della Misericordia nasce da un progetto degli architetti Angelo Mangiarotti e Bruno Morassutti legato alla luce. Un edificio trasparente fatto di vetro e cemento, che conoscono in pochi.  

L’architettura è quasi un personaggio del libro: quanto conta la passione per questa disciplina nel suo approccio alla scrittura? 

Amo l’architettura quanto la letteratura. Entrambe si caratterizzano per un confronto con il costruire che mi affascina. Lo cerco anche nei libri che leggo e mi impegno ad applicare la passione che mi suscita al lavoro che svolgo sulla scrittura degli altri. 

Lei sta scrivendo qualcosa? 

Sì, ma è presto per parlarne: si tratta di un progetto che vedrà luce solo l’anno prossimo. Posso solo dire che si tratterà di un romanzo storico 

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