Il Lawrence d’Italia è l’ufficiale più decorato

1 giorno fa 7

AGI - Parlava l’arabo meglio dell’italiano, padroneggiava il Corano, salvò il Negus Hailé Selassié da un colpo di stato andando a prelevarlo con un carro armato, gli inglesi gli diedero la caccia sul Mar Rosso e fu lui ad avvisare i servizi segreti militari italiani che il Maresciallo Tito stava sganciando la Jugoslavia dall’orbita sovietica. Si era arruolato nella fanteria come sergente e concluse la carriera col grado di generale, risultando alla fine del secondo conflitto mondiale come il militare più decorato. Almeno per la sua vita avventurosa dovrebbe essere un personaggio popolare e noto, invece Francesco de Martini è stranamente rimasto fuori dalla narrazione storica.

 Nato a Damasco da madre siriana, nel 1911 finisce in un campo di concentramento

 Il 9 agosto 1903 l’ingegner Antonio de Martini festeggiava a Damasco la nascita del suo secondogenito avuto dalla moglie siriana Sofia, al quale imponeva il nome di Francesco. Il professionista, nato a sua volta nell’Impero ottomano a Izmir (Smirne), aveva svolto la sua attività nell’ambito della costruzione della mitica ferrovia Berlino-Baghdad. Poi, con lo scoppio della guerra per la conquista della Libia, la famiglia viene internata con tutti gli altri cittadini italiani nel campo di concentramento di Deir-el-Zor. Francesco deve necessariamente interrompere gli studi e in seguito dirà che la cosa non l’aveva particolarmente rattristato.

A quindici anni, nel 1918, se ne va di casa e si unisce a una tribù di beduini, e in seguito grazie alla perfetta conoscenza dell’arabo trova lavoro come interprete al servizio dell’esercito inglese. Approda nella madrepatria nel 1923, e si presenta al distretto militare di Bari per la chiamata alle armi del suo anno di leva.

 
 

Non essendo diplomato, non può accedere al corso da ufficiale e il 26 novembre dalla fanteria lo destinano ai carristi a Roma. L’anno dopo è promosso sergente e nel 1927 gli viene affidata la missione di recarsi a Gibuti dove prenderà in consegna un carro armato leggero Fiat 3000 mod. 21, copia del Renault FT, che Luigi Amedeo di Savoia Aosta ha offerto in dono al Ras Tafari, il futuro negus d’Etiopia Hailé Selassié.

Hailé Selassié salvato da un colpo di stato e portato in salvo in un carro armato

Nel 1928 da Roma arriva l’ordine di distacco del sergente maggiore de Martini ad Addis Abeba, ufficialmente per addestrare gli etiopici, fattualmente per raccogliere e fornire informazioni al Regio Esercito. Il sottufficiale capocarro si ritrova nel novembre 1930 nel tentativo di colpo di stato della guardia imperiale per rovesciare il reggente Ras Tafari. Interviene con uno dei due Fiat 3000 italiani, sfonda il cancello della residenza e spinge il reggente nell’abitacolo, portandolo al sicuro. Divenuto negus, questi per riconoscenza lo nomina comandante della guardia imperiale. Sotto due bandiere continua però a collaborare col suo superiore e attaché militare dell’Ambasciata d’Italia, colonnello Vittorio Ruggero. Quando Mussolini nel 1935 attacca l’Etiopia, de Martini, richiamato in servizio, non solo ne era informato, ma aveva persino messo di suo nei piani d’invasione del Regio Esercito. Riparato per tempo nei ranghi italiani, riceve l’incarico di formare una colonna di irregolari e lui raduna oltre trecento somali, yemeniti e dancali che rispondono solo a lui. Combatte nella colonna del colonnello Ruggero e viene decorato la prima volta con medaglia d’argento al valor militare per un’operazione ad Addis Abeba il 20 luglio 1936; subito dopo è promosso sottotenente per meriti particolari acquisiti in altre imprese ardite. Rimpatriato, dopo aver seguito i corsi della scuola di guerra, viene promosso tenente e partecipa allo sbarco in Albania.

 A capo di una banda di ascari reclutati di persona e poi nei servizi segreti

 Poi è di nuovo in Africa Orientale, in Eritrea, capitano di fanteria alla testa di una banda di volontari abissini nella XXII Brigata coloniale. Il più delle volte lui non indossa né uniforme né abiti civili, ma quelli tipici arabi. Sembra più un predone che un militare, che la truppa africana continua a chiamare sergente maggiore. Con i suoi ascari il I luglio 1940 merita sul campo la medaglia di bronzo al valor militare e nel 1941 è assegnato ai servizi segreti militari (SIM) agli ordini del colonnello Alessandro Bruttini. Durante una delicata missione, in preda alle febbri malariche, viene arrestato dagli inglesi ma dopo una settimana evade rocambolescamente dall’ospedale militare, il 20 luglio. Nuovamente protagonista di una serie di imprese ardite e sabotaggi ad agosto 1941 e luglio 1942, verrà insignito di medaglia d’oro per «eccezionale coraggio».

Lo richiamano in Eritrea per organizzare l’ultima resistenza affidandogli il comando della cellula dei servizi, cerca di sottrarsi alla cattura via nave ma il 21 luglio gli inglesi, che gli davano la caccia, lo intercettano lungo la costa dell’Arabia mentre effettua riparazioni e lo arrestano assieme a cinque compagni, spedendolo in un campo di prigionia in Sudan e poi in India.

 Gli incarichi del dopoguerra e la “soffiata” sulla Jugoslavia

 Viene rilasciato alla fine della guerra e nel 1946 arriva la seconda promozione, per meriti particolari dimostrati tra aprile e dicembre 1940, al grado di capitano. Resta nell’esercito della Repubblica, nello Stato maggiore, inquadrato nel Servizio informazioni delle Forze Armate (Sifar). Il primo incarico è il riavvicinamento all’Etiopia e il ripristino delle relazioni diplomatiche, l’altro è quello di far esfiltrare i notabili iracheni che nel 1941 avevano avversato la Gran Bretagna per evitarne la consegna agli inglesi. Pochi mesi dopo la firma del trattato di pace di Parigi, e con tutte le tensioni tra l’Italia e la Jugoslavia per la definizione delle frontiere e l’esodo di 350.000 esuli istriano-giuliano-dalmati, de Martini in una nota riservata informa il generale Ettore Musco che Tito si sta sganciando dall’Urss di Stalin. È l’unico ad aver colto i segnali del disallineamento della politica jugoslava da quella del Cremlino. Promosso maggiore e responsabile del Sifar per l’area mediorientale, diventerà tenente colonnello, poi colonnello e infine nel 1962 generale di brigata, collezionando encomi e onorificenze. Quando andrà in pensione risulterà il soldato italiano della seconda guerra mondiale più decorato.

 La domanda di risarcimento agli inglesi per essere risarcito della sua barca distrutta

 Francesco de Martini si spegnerà a Grottaferrata il 26 novembre 1981, a 78 anni, oltre sessanta dei quali vissuti avventurosamente. Un altro italiano, per le sue imprese da romanzo d’avventura, si era coperto di gloria sullo scenario mediorientale: Amedeo Guillet (1909-2010). Gli inglesi gli avevano attribuito il soprannome di Comandante Diavolo, mentre de Martini era il Diavolo del Mar Rosso. Venne decorato con 5 medaglie d’argento e 4 al merito di guerra, e come de Martini cavaliere dell’Ordine militare d’Italia. Su de Martini ci sono diversi momenti d’ombra e di vuoto biografico, che aumentano il mistero sulla sua vita avventurosa. È documentato, invece, che nel 1949 aveva inoltrato richiesta ufficiale al governo inglese di essere risarcito perché nel luglio 1942 gli avevano bruciato la barca su cui era stato catturato. Le autorità britanniche risposero a gennaio del 1950 respingendo la sua domanda.

 

Il generale Francesco de Martini iniziò la carriera da sergente e fu protagonista di imprese militari e spionistiche durante il secondo conflitto mondiale e la Guerra fredda

 

 

 

 

 

Leggi l'intero articolo