AGI - Un crimine e una tragedia sono tali indipendentemente dalla nazionalità di carnefici e vittime, dal luogo, dalle circostanze e dal quadro storico. L'affondamento della nave tedesca Wilhelm Gustloff da parte di un sottomarino sovietico, il 30 gennaio 1945, fu un crimine di guerra e la più raccapricciante tragedia in mare della storia: a bordo c'erano circa diecimila persone, in schiacciante maggioranza civili in fuga dai territori minacciati dall'avanzata sovietica. Varata come nave da crociera nel 1938, con stazza di 25.000 tonnellate e oltre 200 metri di lunghezza, la Gustloff durante guerra era stata convertita a nave ospedale e poi a caserma galleggiante.
L'Operazione Hannibal per salvare due milioni di civili
Agli inizi del 1945 la pressione dell'Armata Rossa a Est stava facendo collassare il Reich. Per i tedeschi della Prussia Orientale le uniche vie praticabili per sottrarsi alla morsa sovietica e alle violenze sui civili erano diventate quelle marittime dal porto di Danzica e di Gotenhafen (come i tedeschi avevano ribattezzato nel 1939 la polacca Gdynia). Di fronte a quella pressante massa di persone disperate l'ammiraglio Karl Dönitz il 21 gennaio aveva avviato l'Operazione Hannibal, un gigantesco piano di evacuazione che coinvolgerà due milioni di profughi tedeschi e ogni tipo di imbarcazione in grado di tenere il mare e raggiungere le città costiere del Reich. La Gustloff iniziò a imbarcare civili già il 22, mentre si avvicinava sempre più l'eco delle artiglierie sovietiche, in una situazione caotica e frenetica che non permise di tenerne il conto. Sappiamo con certezza che a bordo c'erano seimila persone tra equipaggio, ausiliarie femminili, feriti e profughi, ma altre migliaia erano pigiate in ogni spazio disponibile sottocoperta, nei saloni, nelle cabine, e infine 600 saliti avventurosamente a bordo all'ultimo momento. In totale veniva sforata quota diecimila.
Un carico di disperati a 18 gradi sottozero sul Baltico
La Gustloff era salpata da Gotenhafen alle 13.00 del 30 gennaio, col suo carico di disperati, donne, bambini, anziani (i giovani di almeno sedici anni e quelli di età non superiore a 60 erano stati arruolati nella milizia popolare Volkssturm) in direzione di Kiel. Le condizioni meteo erano tremende: temperatura di -18°, tempesta di neve, formazioni di ghiaccio sul Baltico. Ma le insidie erano tutte sotto il pelo dell'acqua, nel buio. L'ex transatlantico sovraccarico all'inverosimile e indifeso, a causa della visibilità precaria aveva anche acceso le luci di posizione, su ordine del capitano di corvetta Wilhelm Zahn che il comandante Friedrich Petersen aveva avallato per evitare collisioni con altre imbarcazioni militari e civili. Quelle luci erano state viste attraverso il periscopio dal sottomarino sovietico S-13, in missione di pattugliamento, che era partito dalla base di Turku in Finlandia il 2 gennaio sotto il comando del capitano Aleksander Marinesko.
Il più grande disastro marittimo della storia. Sei volte le vittime del Titanic
Erano le 20.00. Marinesko, figlio di un marinaio romeno sovietizzato, indisciplinato e dissoluto, con forte propensione al bere e alle gozzoviglie, aveva avuto seri problema per i suoi notori vizi appena il mese prima, e ritenne probabilmente che il suo riscatto personale potesse passare da quella ghiotta e facile preda scambiata per qualcosa di più importante. Alle 21.08, lanciò il primo siluro, su cui i sommergibilisti sovietici avevano scritto “Per la mia patria”, che esplose sotto la linea di galleggiamento a prua lì dove l'equipaggio non ebbe scampo per l'ordine di chiudere le paratie stagne; il secondo siluro, “Per la patria sovietica”, colpì la zona della piscina, svuotata, che ospitava le oltre trecento ausiliarie, di cui solo due si sarebbero salvate. Con il terzo siluro la Gustloff, ormai condannata, si inclinò di prua. A bordo era un inferno dantesco, un caos indescrivibile, donne e bambini urlanti e schiacciati nella calca, terrore e panico ingestibili. L'agonia durò tre quarti d'ora, il tempo che l'ex transatlantico ci mise a colare a picco, mentre i marinai tedeschi cercavano di calare in mare le scialuppe ghiacciate e in numero del tutto insufficiente persino per il carico massimo di 1.900 persone (1.463 passeggeri e 417 membri dell'equipaggio), figurarsi per diecimila. E così l'affondamento provocò sei volte il numero delle vittime del Titanic
Il miracolo del bambino di un anno sopravvissuto all'assideramento
Dai porti del Baltico era stato raccolto subito l'SOS e alla fine circa 1.200 naufraghi saranno tempestivamente strappati a una morte certa per assideramento. Un salvataggio miracoloso avverrà su un canotto, i cui occupanti erano tutti deceduti per congelamento, tranne un bambino di un anno che verrà adottato dall'ufficiale che l'aveva individuato infagottato in una coperta di lana. Circa settemila passeggeri erano rimasti intrappolati nella Gustloff. Intanto il sottomarino sovietico S-13 si era agevolmente sottratto alle bombe di profondità lanciate dai cacciatorpedinieri della Kriegsmarine che avevano partecipato al tentativo di salvataggio dei naufraghi. Di lì a pochi giorni il capitano Marinesko inquadrerà nell'obiettivo anche la nave General von Steuben: quattromila morti.
Il silenzio della propaganda, la fine del capitano Marinesko e il romanzo di Grass
Se contava di tornare a casa come eroe aveva sbagliato i suoi conti, perché le imprese che pesavano per i suoi superiori non erano quelle di guerra ma quelle della sua dissolutezza. E infatti sarà spinto a congedarsi nell'ottobre del 1945 e lui tornò a fare quel che meglio gli riusciva: ubriacarsi e cercare compagnie femminili. Nel 1949 finirà anche in carcere e nel 1963 morirà per un tumore alla gola, tre anni dopo essere stato riabilitato con la restituzione del grado di capitano. Nel 1990 il segretario del Pcus Mikhail Gorbacëv lo eleverà a Eroe dell'Unione Sovietica intitolandogli un museo e una via di Leningrado. La Gustloff, il cui relitto era stato ispezionato molte volte dai sommozzatori militari sovietici, sarà fatta riemergere dalle acque del Baltico non fisicamente per i tesori di cui pure si era favoleggiato per anni, ma immaterialmente nella considerazione e diffusione di quella immane tragedia grazie allo scrittore Günter Grass, nel 2002, con il libro “Il passo del gambero” (Im Krebsgang). Il romanzo storico era incentrato proprio sull'affondamento del 30 gennaio 1945, di cui Hitler all'epoca aveva proibito di parlare e che la propaganda sovietica, al pari, aveva ignorato per ovvi motivi di opportunità.