AGI -
Caporedattore Esteri del Gr Rai, con una formazione da storico moderno e contemporaneo, Fabrizio Noli è da poco arrivato nelle librerie con "Confini e conflitti. Dall'Impero Romano all'Ucraina" (Vallecchi), un ricchissimo testo che ibrida saggistica, documentazione storiografica ed approfondimento giornalistico. Impreziosita da una prefazione di Antonio Macchia, una postfazione di Giacomo Marramao e diciotto cartine geopolitiche di Lidia Aceto, l'opera di Noli ci conduce lungo i bordi più caldi delle aree di tensione d'Europa in un viaggio tra i millenni che parte nel 9 d.C. dal Limes renano e termina ai nostri giorni con l'intervento militare russo in Ucraina. Di significati e ragioni di questa profondo lavoro di ricostruzione e riflessione, l'Agi ha parlato proprio con l'autore.
Com'è nata l'idea della particolare struttura di questo libro?
Da una domanda che mi girava in testa: perché i confini mal definiti - mal ritagliati, si potrebbe dire - finiscono da sempre per portare a degli scontri? La guerra che oggi coinvolge l'Ucraina, paese in cui convivono etnie e culture diverse, come d'altronde in altre repubbliche post sovietiche, ne è un esempio recente. Ma non mi bastava analizzare il presente, sentivo di voler riavvolgere il nastro invisibile che lega i confini che hanno generato conflitti durante tutta la Storia. Cosi sono partito dalla battaglia di Teutoburgo del 9 d.C. sul limes renano, quando l'Impero Romano fu battuto da una coalizione di tribù germaniche guidate da Arminio, chiedendomi in che misura quell'evento avesse cambiato il corso della vicenda europea. I romani furono primi a definire i confini in modo netto, con muri come il Vallo di Adriano o fiumi come il Reno e il Danubio, ma durante l'Età Imperiale non pensavano che la loro espansione si sarebbe fermata; sbagliandosi, di fatto. La mia ricerca ha poi seguito il filo rosso delle tensioni di frontiera passando dal rapporto tra Longobardi e Bizantini al fiume Narva, cerniera tra mondo baltico e slavo; dai rapporti tra Spagna e Francia tra XVII e XVIII secolo alla questione dell'Alsazia – Lorena; dai confini militari ungheresi, poi austriaci, a quelli orientali italiani dopo la prima Guerra mondiale; dai Monti Sudeti e da Danzica prima della Seconda Guerra alla questione Sudtirolese; dalla divisione di Cipro a quella irlandese; dalla Cortina di ferro alla dissoluzione della ex Jugoslavia, fino alla crisi del Donbass.
Per quali ragioni sembra essere l'Europa la terra madre dei conflitti tra nazioni confinanti?
In realtà ho scelto di scrivere del nostro continente per raccontare una Storia che per vicinanza conosciamo meglio, ma esistono da sempre confini caldi in tutto il mondo; basti pensare all'universo post coloniale ed, oggi, a India e Pakistan. In effetti ho in programma un secondo volume sui conflitti extraeuropei, dalla Muraglia Cinese alla questione di Taiwan. Il mondo odierno è complesso, ci pone davanti a sfide di non semplice comprensione; durante la Guerra Fredda, nonostante l'incubo nucleare, il panorama internazionale era di certo più decifrabile.
La vicenda della crisi Ucraina chiude il testo: qual è a suo avviso, in una visione prospettica, il suo significato storico?
Si tratta di una guerra fratricida, che all'inizio mi ha lasciato sorpreso per molti versi. Ancora una volta, si può trarne l'insegnamento che i confini sono destinati a modificarsi, sempre. Cito qui la frase di Jacques Derrida che compare in quarta di copertina del mio libro: “I confini non sono mai certi, neppure quando tracciati in modo evidente: sono sempre contesi e instabili, sono per natura provvisori e da decifrare continuamente”. E la sintesi di ciò a cui assistiamo in questo drammatico periodo.
Cosa significa umanamente doversi prendere la responsabilità, propria del suo ruolo di Caporedattore Esteri, di inviare giornalisti nelle zone calde del mondo?
Sebbene consapevoli dei rischi, molto spesso sono proprio gli inviati a chiedere di partire per le zone di guerra, ma per me accontentarli costituisce sempre un'enorme responsabilità. Raccomando costantemente a tutti di fare attenzione: osservare, riferire e non mettere mai a repentaglio la propria
vita. Capisco l'istinto giornalistico di vedere posti interdetti alla stampa, come Gaza o il Donbass, ma pretendo che il primo comandamento del loro lavoro sia evitare ogni azzardo.
A quando il secondo volume di ‘Confini e conflitti'?
Non conosco ancora la data precisa della sua pubblicazione, che dipende dall'editore Vallecchi, ma spero esca tra un anno. Il testo è quasi pronto: nonostante lavori in una redazione all news, dedico all'approfondimento e alla scrittura buona parte delle ferie e dei riposi. Succede, quando hai una grande passione.