La fucilazione di Petro Koch ripresa da Luchino Visconti

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Era stato lui che l'aveva arrestato ad aprile 1944 e condannato a morte, e il 5 giugno 1945 la vittima designata di allora ne riprendeva gli ultimi istanti di vita col plotone d'esecuzione schierato. Una scarica di fucileria gli portava via di netto un pezzo della calotta cranica, uccidendolo sul colpo e chiudendo l'esistenza di Pietro Koch. Attraverso l'obiettivo della camera da presa vedeva tutto e registrava tutto il regista Luchino Visconti. Se a suo tempo non fosse intervenuta l'attrice Maria Denis, per la quale Koch aveva un debole, Visconti non sarebbe sopravvissuto a sevizie e torture degli aguzzini della Banda Koch che erano riusciti a disgustare per le efferatezze di cui erano capaci persino fascisti e nazisti.

Il comandante proveniva dal corpo più antico del Regio Esercito, i Granatieri di Sardegna, dove prima dell'8 settembre 1943 indossava i gradi di tenente di complemento. Dopo la resa l'anonimo ufficiale rispunta fuori a Roma, dove rivela al capo della polizia della Repubblica sociale, Tullio Tamburini, il nascondiglio del comandante della 5ª Armata, il generale Mario Caracciolo di Feroleto. Come racconterà al processo, Tamburini l'autorizzò a operare l'arresto al convento di San Sebastiano coordinando una squadra di poliziotti.

Cominciava così la carriera del Reparto Speciale, una delle milizie semiprivate della Rsi che agivano al di sopra della legge e di ogni regola: si distinguerà tra tutte per gli eccessi di crudeltà e sadismo. Annoverava e attorno a essa gravitavano criminali, pervertiti, donne di malaffare, degenerati, persino sacerdoti sospesi, e si alimentava di ruberie, grassazioni e cocaina.

 Il finto dottore per i lavori più sporchi

 Pietro Koch, che nei verbali si firma dottore pur non avendo mai conseguito una laurea, è nato a Benevento nel 1918 da buona famiglia, tedesca da parte di padre. Era iscritto all'università a Roma e aveva sospeso gli studi nel 1938 per la chiamata alle armi. Dopo poco più di un anno era stato congedato e si era dedicato al commercio delle automobili, di immobili e di terreni tra Roma e Perugia, attività su cui gravavano inchieste per truffa. Nel 1943 era stato richiamato in servizio e assegnato al 2° reggimento Granatieri di Sardegna, dove aveva militato fino all'armistizio. Poi aveva fatto la sua scelta di campo.

Aveva violato l'extraterritorialità del convento per arrestare Caracciolo e aveva fondato la sua Banda dove aveva tirato dentro l'ex socio in affari, l'avvocato perugino Augusto Trinca Armati, tanto ricco quanto psicopatico. La Rsi ha bisogno di uomini senza scrupoli per i lavori più sporchi, ed è di manica larga sui finanziamenti.

 Sangue, soldi, sesso e cocaina a fiumi

 Su Koch si riversa un fiume di danaro. Fissa il quartier generale prima alla pensione Oltremare poi alla Jaccarino, nelle cui cantine si svolgono gli interrogatori che diventano lunghe sedute di compiaciuta tortura. Le grida delle vittime filtrano all'esterno ma è meglio non farsi troppe domande, come è meglio non farsene sulla natura di quella “polizia” autonoma in tutto, che ha fatto dell'arbitrio e della violenza la sua cifra operativa.  Di legale, nonostante l'Ufficio retto dall'avvocato Trinca, non c'è nulla. Non c'è pietà nonostante due preti, gli esaltati Epaminonda Troya e Pasquino Perfetti. Non c'è la dolcezza femminile, nonostante si aggirino nei locali e nei sotterranei Anna Chiavini, Giulia Ferrini, Camilla Giorgatti, Teresa Ledonne, Annapaola Marchetti, Maria Rivera, Anna Saracini, Lina Zini, e, e pure la soubrette Daisy Marchi, amante ufficiale del capobanda.

Le torture efferate di Villa Triste a Milano

Con la liberazione di Roma a giugno 1944 la Banda Koch si trasferisce a Firenze e quindi a Milano, dove fissa la sede in via Paolo Uccello, nella Villa Fossati diventata la famigerata Villa Triste dove si consumano crudeltà indicibili per strappare confessioni e nomi degli antifascisti. Koch può tutto, finché dura la protezione di un criminale in divisa da SS, il capitano Theodor Saewecke. Assiste alle torture elegantemente vestito e profumato, oppure sedendo a tavola con stoviglie di porcellana e posate d'argento, distaccato e compiaciuto della bella vita che conduce alla quale aggiunge belle donne e tanta, tanta cocaina. Il repertorio degli orrori di Villa Triste è inimmaginabile. Persino le donne della banda partecipano a imprese orgiastiche di sadica perversione sessuale. Nel giro finiscono anche gli allora celebri attori Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, che pagheranno con la vita quel coinvolgimento. Benito Mussolini sapeva e non faceva nulla per far cessare quell'orgia di sangue, almeno fino a quando la voce del cardinale Ildefonso Schuster si era levata per far cessare quella vergogna assoluta, col duce pressato pure dai fascisti arrivati a temere l'attività del Reparto Speciale per il suo strapotere.

Arrestato dai fascisti e processato alla fine della guerra

 Koch era stato arrestato il 17 dicembre 1944 dal capo della polizia Renzo Montagna, la Banda sciolta, le sue ingenti ricchezze confiscate e il suo capo rinchiuso in una cella a San Vittore. Quando tutto sta per finire, nell'aprile 1945, lo fanno uscire perché ormai vale il “si salvi chi può”.  Si tinge i capelli di biondo, si procura documenti falsi intestati al commerciante Ariosto Broccoletti e passa così inosservato, a Milano come a Firenze dove si reca con la sua ultima fiamma, la giovanissima fiorentina Tamara Cerri. Quando questa viene arrestata assieme alla madre per risalire a lui, si presenta in questura il I giugno e rivela la sua identità. Lo portano a Roma e lo processano. Bastano tre giorni per condannarlo a morte. L'imputato sembra insensibile a tutto. Scrive freneticamente in cella, si confessa, rilascia una lunga e dettagliata intervista, si assume tutte le responsabilità e ci tiene a scagionare altri che secondo lui non hanno fatto nulla.

Elegante e distaccato davanti al plotone d'esecuzione

 Il 5 giugno 1945 attorno alle 14 lo conducono a Forte Bravetta. È vestito con eleganza, neanche un capello fuori posto, ma comunque se li pettina e prima di sedere liscia pure la piega dei pantaloni chiari come la giacca. Non trema e non chiede pietà. Il plotone d'esecuzione si schiera su due file alle spalle della sedia dov'è stato legato appoggiato alla spalliera, secondo la procedura italiana.

Sulla scena dell'esecuzione, come fosse un set cinematografico, c'è anche Luchino Visconti, incaricato di riprendere quel momento. Il regista aveva realizzato una serie di documentari accorpati nel film “Giorni di gloria” firmato anche da Giuseppe De Santis e Marcello Pagliero, il primo dei quali dedicato all'eccidio delle Fosse Ardeatine il cui originale è stato rinvenuto negli Usa nel 2014. Se non fosse intervenuta Maria Denis nell'aprile 1944 Visconti sarebbe stato fucilato e per otto notti rinchiuso nella pensione Jaccarino aveva temuto di essere giustiziato da un momento all'altro. I componenti del plotone di esecuzione, forse memori di quello che Pietro Koch era stato e aveva fatto, alle mireranno accuratamente alla testa prima di premere il grilletto. Alle 14.21 esatte.

 

 

 

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