AGI - File interminabili di corpi scheletrici, baracche regolari disposte una accanto all'altra e recinzioni di filo spinato. Quando ottant'anni fa vennero liberati i campi di concentramento nazisti, agli alleati parve di essere entrati in un film dell'orrore. In occasione dell'anniversario, il 14 gennaio, a Milano, è stata inaugurata la mostra “La storia dietro le immagini. Foto del campo di Mauthausen”. Presentata da Aned (Associazione Nazionale Ex Deportati nei campi Nazisti), è visitabile negli spazi di Casa della Memoria dal 15 gennaio al 2 marzo 2025. Mauthausen, con i suoi sottocampi Gusen ed Ebensee, era un'anonima e tranquilla cittadina dell'Austria, prima di diventare tristemente famosa per essere stata la sede di uno dei più duri campi di concentramento nazisti. Era un luogo destinato soprattutto agli oppositori politici, che dovevano essere rieducati attraverso il lavoro con l'annientamento fisico.
La mansione più dura a Mauthausen era il lavoro nella cava di pietra adiacente al campo, a cui si arrivava attraverso dei gradini irregolari definiti "scala della morte", perché i prigionieri dovevano percorrerla con pesanti pietre sulle spalle e con accanto un burrone. Quindi perdere l'equilibrio spesso voleva dire morire. Nel terribile sottocampo di Gusen, poi, i detenuti avevano scavato chilometri di gallerie per permettere la produzione di armi segrete naziste, come aerei a reazione e missili. All'inaugurazione della mostra, dopo i saluti istituzionali del console generale d'Austria, Wolfgang Strohmayer, sono intervenuti Dario Venegoni, presidente nazionale Aned, Barbara Glück, direttrice del Mauthausen Memorial, e Stephan Matyus, curatore. L'esposizione, promossa dal Museo-Memoriale di Mauthausen e resa unica dalla collaborazione tra numerosi enti e associazioni di superstiti che hanno messo a disposizione i loro archivi, riunisce un'impressionante documentazione fotografica del campo di concentramento di Mauthausen e dei suoi campi satellite.
"Le immagini e i documenti esposti in questa mostra non si limitano a essere testimonianze delle atrocità compiute in questi luoghi, ma si pongono come un monito imprescindibile, affinché la violenza e l'indifferenza non trovino più alcun spazio nella nostra società", ha sottolineato l'assessore alla Cultura del Comune di Milano, Tommaso Sacchi. Quasi 200 mila donne e uomini di oltre 50 nazionalità diverse furono deportati dai nazisti nel campo di Mauthausen, che fu aperto nel 1938 e fu l'ultimo a essere liberato, il 5 maggio 1945. Oltre 90 mila vi trovarono la morte dopo inenarrabili tormenti. Di questi, oltre 4.500 erano italiani, la gran parte di loro deportati politici.
Un triplice sguardo
Le immagini in mostra sono espressione di tre punti di vista diversi: fino alla liberazione del campo quello delle SS, mentre dal 5 maggio 1945 in poi lo sguardo è quello dei liberatori americani e degli ex-prigionieri
Le foto delle SS
Le numerose fotografie realizzate dalle SS, che avevano allestito un laboratorio specifico all'interno del campo, furono in parte distrutte per eliminare eventuali prove compromettenti. Tuttavia, molti negativi si sono conservati grazie all'azione eroica di un gruppo di prigionieri spagnoli che, a rischio della propria vita, si impegnarono con l'obiettivo di rivelare al mondo ciò che accadeva nei lager. Le fotografie scattate dalle SS avevano diverse finalità. Alcune documentavano la gestione del campo e le attività quotidiane delle guardie, mentre altre erano chiaramente orientate alla propaganda. In queste immagini non viene mai rappresentata la violenza brutale né le condizioni disumane imposte ai prigionieri, bensì si mostra un'efficiente struttura economica basata su disciplina e organizzazione. Si tratta di una narrazione che non solo omette la realtà, ma la distorce e la falsifica, come dimostrano le fotografie che inscenano falsi tentativi di suicidio per occultare le esecuzioni.
Le foto dell'esercito americano
Completamente opposto è ciò che osserviamo nelle foto realizzate dall'esercito americano al momento della liberazione e nelle settimane successive. A Mauthausen, Gusen ed Ebensee i fotografi dell'US Signal Corps (il Servizio d'informazione americano) tentarono di esprimere attraverso le immagini lo shock provato in quei giorni. In tutti i campi si ripeterono le medesime visioni dell'orrore che accompagnarono la scoperta dei campi. Queste immagini sono divenute emblematiche delle atrocità naziste e dei crimini commessi nei campi di concentramento. Esse rispondevano anche allo scopo di documentare le aberrazioni di quell'ideologia e di fornire un importante contributo al fine di istruire i processi ai gerarchi nazisti.
Le foto degli ex prigionieri
Vi è poi il punto di vista degli ex prigionieri. Nei giorni successivi alla liberazione, soprattutto il gruppo di spagnoli che salvarono dalla distruzione i negativi trafugati alle SS, e in primis Francisco Boix, utilizzò le macchine fotografiche abbandonate dalle SS per realizzare numerose foto. I loro scatti mostrano la progressiva riconquista da parte dei sopravvissuti delle proprie identità individuali e collettive, dopo essere stati a lungo umiliati, isolati e ridotti a numeri di matricola. L'integrazione delle tre prospettive offre un quadro articolato che consente di comprendere la complessità dell'universo concentrazionario e le difficoltà vissute dai sopravvissuti nel reinserirsi nella vita civile, mettendo in luce, al contempo, l'importanza di un approccio critico nell'analisi del racconto fotografico di un evento storico.