Il proclama di Alexander per l'inverno gela le formazioni combattenti partigiane

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AGI - Piove e fa freddo, quel 13 novembre 1944 di guerra, ma le condizioni meteo avverse non sono nulla rispetto alle nubi nere che si addensano sulla Resistenza italiana e al gelo nell'ascoltare nel pomeriggio la trasmissione «Italia combatte» sulle frequenze di Radio Bari. L'etere connette il comando militare alleato e il braccio armato del Comitato di liberazione nazionale, ovvero le forze partigiane del Corpo volontari della libertà di cui è il braccio armato, costituite a macchia di leopardo sul territorio della Repubblica sociale mussoliniana. A parlare è il comandante supremo del fronte italiano, il Maresciallo Harold Alexander, e le sue direttive lasciano senza parole i responsabili delle brigate e dei partiti. Nel proclama viene detto ai patrioti che la campagna estiva iniziata l'11 maggio e che ha portato allo sfondamento della Linea Gotica è terminata, e che adesso si passa alla campagna invernale. Di stasi.

"Stare in difesa" e impossibilità di scendere a valle per trovare rifugio

In realtà, e lo sanno tutti, lo sbarramento difensivo tedesco è stato appena incrinato in alcuni punti ma continua a tenere, e la cattiva stagione non solo rallenta l'azione alleata sul campo ma dà una concreta mano al Feldmaresciallo Albert Kesselring a tenere inchiodati nelle loro posizioni gli angloamericani. È proprio sul raccordo con le bande partigiane che quel proclama è devastante perché l'inverno «sarà molto duro per i patrioti, a causa della difficolta di rifornimenti di viveri e di indumenti: le notti in cui si potrà volare saranno poche nel prossimo periodo, e ciò limiterà pure la possibilità di lanci; gli Alleati però faranno il possibile per effettuare i rifornimenti».

Le premesse sono nulla rispetto agli ordini di Alexander:

  • "1) cessare le operazioni organizzate su larga scala;
  • 2) conservare le munizioni e i materiali e tenersi pronti a nuovi ordini;
  • 3) attendere nuove istruzioni che verranno date a mezzo radio “Italia Combatte” o con mezzi speciali o con manifestini. Sarà cosa saggia non esporsi in azioni arrischiate; la parola d'ordine è: stare in guardia, stare in difesa;
  • 4) approfittare pero ugualmente delle occasioni favorevoli per attaccare i tedeschi e i fascisti;
  • 5) continuare nella raccolta delle notizie di carattere militare concernenti il nemico; studiarne le intenzioni, gli spostamenti, e comunicare tutto a chi di dovere".

Seguono complimenti e attestati di stima, per indorare la pillola amara. Sono ordini talmente assurdi che nei comandi partigiani non sono pochi a pensare che si tratti di un falso. Non c'è logica infatti nel pensare di poter congelare la situazione sul campo e che i partigiani possano scendere a valle e tornarsene a casa in attesa della ripresa delle operazioni nel 1945. Ma non si tratta di un falso e c'è pure una pesante quanto evidente ricaduta: i nazifascisti adesso sanno che in montagna le unità combattenti soffriranno l'allentamento dei rifornimenti di viveri e munizioni dal cielo, che il fronte è ormai stabilizzato per stessa ammissione angloamericana e che quindi diversi reparti possono essere sganciati dalla Gotica per dedicarsi alla guerra antipartigiana e ai rastrellamenti su più ampia scala.

Le direttive del dipartimento di guerra psicologica e il precedente di Stalin

"Stare in guardia, stare in difesa", come esortava Alexander, aveva un risvolto profeticamente drammatico. È assai improbabile che militari esperti come quelli dei vertici alleati non abbiano preventivamente ponderato la portata e le conseguenze di quel proclama. Impensabile, infatti, che migliaia di uomini possano tornarsene a casa o trovare un rifugio nelle campagne o nelle città. Sull'aspetto pratico, che sopravanza ogni considerazione d'ordine militare, si innesta un inconfessato elemento politico, altrimenti il proclama diverrebbe automaticamente illogico. Il testo era stato elaborato da un pastore protestante che prestava servizio nel dipartimento della guerra psicologica. Forse dietro c'è il calcolo di depotenziare il movimento resistenziale e il ruolo dei rinati partiti al momento della liberazione, che sarà questione di mesi e comunque legata alla primavera e alla spallata alla Linea Gotica che si confida essere quella decisiva, e che ricade sugli Alleati i quali gestiranno la fase militare e quella successiva politica. Certi calcoli non sono certamente estranei alla conduzione della guerra a diverse latitudini. Con assai maggiore cinismo Stalin ha fatto schiacciare dai tedeschi la rivolta di Varsavia di agosto negando aiuto militare diretto sul campo, e pure i rifornimenti e l'assistenza dal cielo con i quadrimotori angloamericani che partivano dalla Puglia per paracadutare viveri, medicinali e armi: non ha dato il permesso di atterraggio nelle basi sovietiche e in alcuni casi ha fatto sparare dalla contraerea. Il calcolo del dittatore era di far fare il lavoro sporco ai tedeschi, ovvero annientare l'Armia Krajowa polacca che era tanto antinazista quanto anticomunista.

La replica del Comitato di liberazione nazionale

Al proclama di Alexander risponde Luigi Longo a nome di tutto il CLN con una nota puntuale e dettagliata nella quale si ricorda che la scelta della lotta partigiana per il popolo italiano "non è stata un capriccio o un lusso cui si possa rinunciare quando si voglia" ma "una necessità personale per difendere la propria libertà e la propria esistenza"; viene respinta la smobilitazione e persino l'ipotesi dell'allentamento delle operazioni, auspicando invece "una più intensa combattività". Dopo il proclama i tedeschi ci mettono pochi giorni ad allestire una grande operazione antipartigiana alle spalle della Linea Gotica, con il massiccio impiego di unità sganciate dal fronte nella consapevolezza dell'inazione alleata, che scompagina le formazioni e mette in crisi lo schieramento già provato dallo shock e dal senso di abbandono innescati dalle parole di Alexander.

La reazione nazifascista e i rastrellamenti contro la Resistenza

Già l'indomani, il 14 novembre, un ringalluzzito Benito Mussolini aveva detto al generale Heinrich von Vietinghoff che se Hitler gli avesse concesso sei divisioni sul fronte italiano avrebbe ricacciato gli Alleati fino a Napoli. Lo aveva pure scritto al Führer, parlando di «settore dove l'iniziativa è praticamente possibile e ricca di risultati politici e militari»: una «massa italotedesca di 80-100.000 uomini rovescerà la situazione». Non conosciamo la risposta di Hitler, se mai ci fu, ma sappiamo che i rastrellamenti nazifascisti di quella fine 1944 infersero duri colpi alla Resistenza, con l'arresto dell'intero comando di Giustizia e Libertà del Piemonte, lo smantellamento dei comandi regionali di Veneto e Liguria e di quello di Milano, nonché dell'intero CNL di Ferrara. Duccio Galimberti è ucciso, Mario Argenton, Enrico Mattei, Ferruccio Parri vengono arrestati.

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