In missione nella capitale ungherese con i dollari americani
Tutto, nella breve vita di Wallenberg, indicava un‘altra strada. Era nato il 4 agosto 1912 nella residenza privata della ricca famiglia di imprenditori su un'isola presso Stoccolma. Il padre era morto di cancro prima che lui venisse alla luce, e la sua figura maschile di riferimento era stato il nonno Gustaf, già ambasciatore in Cina e Giappone, che volle per lui una formazione cosmopolita: universitaria di primo livello negli Stati Uniti dove si laureò in architettura all'Università del Michigan, e di esperienza con numerosi viaggi. La scomparsa del nonno, nel 1937, coincise con il rifiuto del capostipite Jacob di favorirlo nel mondo degli affari di famiglia, dirottandolo invece verso l'impiego in una piccola ditta di import-export nel centro di Stoccolma di proprietà dell'imprenditore ebreo Kalman Lauer.
Fino al 1944 i venti della seconda guerra mondiale gli erano apparsi lontani rispetto alla Svezia neutrale; fino a quando cioè in agosto, a seguito di un casuale incontro nell'ascensore della ditta tra Lauer e l'americano Iver Olson, quest'ultimo gli chiese se aveva qualcuno che se la sentisse di recarsi in Ungheria per portare aiuto alla comunità ebraica a rischio di sterminio, lavorando a margine dell'attività della legazione svedese e utilizzando i fondi del War Refugees Board fondato da Franklin Delano Roosevelt. Lauer indicò Wallenberg che, pur privo di qualunque esperienza in ambito diplomatico e di missioni segrete, partì all'istante per l'Ungheria che raggiunse il 9 agosto, senza ulteriori istruzioni.
Fiero oppositore dei nazisti e sempre in prima linea per opporsi alla Shoah
A Budapest concepì e realizzò con la collaborazione del primo segretario d'ambasciata Per Anger il piano di distribuire qualche centinaio di carte di protezione per ebrei che in qualche modo potevano essere riconducibili a legami con la Svezia, riuscendo a ottenere dalle autorità ungheresi e da quelle naziste che il lasciapassare fosse riconosciuto valido in attesa di trovare un mezzo di trasporto per lasciare il Paese. La condizione era che i titolari fossero rimasti in abitazioni acquistate o affittate da Wallenberg stesso, che provvide con i soldi americani e che contrassegnò dotandole di bandiera svedese. Dissero di lui che era diventato in breve il più grande proprietario immobiliare di Budapest. Inoltre forzò sempre verso l'alto quei numeri che gli ungheresi volevano invece molto bassi, con continui incrementi, che schizzarono da 4.500 a 33.000, opponendosi coraggiosamente ai rastrellamenti delle Croci Frecciate filonaziste e alle SS. Si muoveva ovunque fosse necessario con la sua auto, inventava lì per lì elenchi con nominativi “protetti”, cercò di salvare persino gli ebrei già incolonnati sulle rive del Danubio e lì giustiziati affinché i cadaveri fossero portati via dalle acque del fiume.
La bomba fatta esplodere dalle SS sotto la sua auto e l'incontro con Eichmann
Incontrò Adolf Eichmann, il burocrate della Shoah, dopo che le SS avevano cercato di eliminarlo facendo saltare in aria la sua auto dove era stata posizionata una bomba esplosa senza che lui fosse a bordo, cercando di ottenere l'interruzione delle deportazioni; coinvolse altre rappresentanze diplomatiche di Stati neutrali nella rete di protezione, come Svizzera, Portogallo, Vaticano e Spagna, dove l'italiano Giorgio Perlasca faceva altrettanto, ma spacciandosi per console spagnolo. Wallenberg non aveva paura dei nazisti che affrontava a viso aperto, bluffando, blandendo, corrompendo e minacciando l'immancabile punizione alla fine della guerra ormai imminente. Probabilmente sapeva quel che diceva, e non è escluso che in segreto lo svedese lavorasse per l'OSS statunitense, di cui certamente Olson faceva parte e al quale inviava rapporti con regolarità rapporti da Budapest dove manteneva contatti con la resistenza.
Catturato dall'Armata Rossa e imprigionato a Mosca. Tante versioni sulla sua fine
La città era sotto assedio sovietico e a gennaio Wallenberg attraversò il Danubio e sulla sponda di Pest cercò di entrare in contatto con i vertici dell'Armata Rossa. Il 13 gennaio venne condotto al quartier generale e l'indomani fu lui ad accompagnare un piccolo drappello di soldati nel quartiere dove si trovava il ghetto di protezione internazionale. A quel giorno risale anche l'ultimo contatto diretto con lui, grazie alla testimonianza di un amico al quale disse che si sarebbe recato a Debrecen al comando di zona per chiedere vivere e medicinali per gli ebrei. Non sarebbe più tornato indietro.
Sappiamo che alla fine di gennaio era a Mosca, rinchiuso nel famigerato carcere della Lubjanka, e che era stato arrestato il 17 a Budapest, ma si ignorano le accuse mosse a suo carico. Giorgio Perlasca riuscirà a sottrarsi allo stesso destino, abbandonando avventurosamente la capitale ungherese. Le autorità svedesi chiesero il suo rilascio ma respinsero l'aiuto del presidente degli Stati Uniti Harry Truman.
L'ambasciatore sovietico a Stoccolma rassicurò la sorella di Wallenberg che sarebbe stato presto rilasciato, e subito dopo il Cremlino negò che fosse mai stato sul territorio sovietico. Nel 1956 il vice ministro degli Esteri Andrej Gromyko annunciò a sorpresa che Wallenberg era morto nel 1947, e le cause del decesso erano contenute nella consueta formula dell'arresto cardiocircolatorio. Sulla fine di Wallenberg fioriranno testimonianze e rivelazioni di ogni genere, e addirittura Per Anger, che aveva collaborato con lui a Budapest, affermerà che nel 1989 era ancora vivo. Otto anni prima, caso del tutto eccezionale, gli Stati Uniti gli avevano conferito la cittadinanza onoraria grazie all'impegno di un deputato originario di Budapest che era stato da lui salvato. Ignoti, ancora oggi, dove, quando e come Wallenberg sia morto.