"Cinema e tv sono un'industria, non attività amatoriali". Cosa dice Riccardo Tozzi del meccanismo di finanziamento finito sotto accusa

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AGI - Quando, ormai molti anni fa, l'industria dell'audiovisivo Usa superò in valore quella dell'auto, l'evento conquistò le prime pagine dei giornali. Oggi negli Stati Uniti la produzione di film, serie tv, documentari è di oltre duemila miliardi di dollari l'anno, quasi il doppio di quella degli autoveicoli. 

In Italia non siamo ancora a questo punto, ma il valore della produzione di film e serie tv è cresciuto notevolmente, tanto da occupare 120mila persone per un valore di due miliardi di euro. Un'industria, per l'appunto, nella quale operano più di 45mila aziende e che, dicono in molti, tale deve essere considerata, scrollandosi di dosso l'allure dell'attività amatoriale.

“Bisogna evitare di applicare al settore della serialità le stesse conclusioni che si applicano al cinema” dice all'AGI Riccardo Tozzi, fondatore e presidente di Cattleya, una delle società di produzione più importanti del nostro Paese, “Oggi in Italia il 60% del fatturato dell'audiovisivo è fatto dalle serie tv e il 40% dal cinema ed è una tendenza mondiale che porta a una moltiplicazione del consumo e della domanda”.

Per le serie tv servono spalle larghe

Un trend iniziato da molto tempo, aggiunge Tozzi – produttore, tra gli altri, di film come ‘Terraferma' di Crialese e di serie tv come ‘Gomorra' e ‘Inganno' – che è stata solo accelerata da un fenomeno come il lockdown. “Nella serie tv, oltre all'investimento economico devi poter mettere in campo un grande investimento professionale” spiega “ci sono reparti, da quello editoriale alla postproduzione, che occupano decine e decine di persone e che oggettivamente una produzione di piccole dimensioni non è in grado di schierare”.

Due mondi, quello del cinema e delle serie, che sembrano farsi sempre più lontani, ma che pure continuano a mutuare l'uno dall'altro. “Un tempo il pubblico delle serie tv era diverso da quello del cinema e quasi incompatibile” dice Tozzi, “lo spettatore cinematografico abituale non guardava la tv e il consumatore di serie non era un frequentatore abituale delle sale. Da una decina d'anni ci siamo abituati a guardare serie che hanno una qualità cinematografica e, come prodotto, fanno concorrenza al cinema. Per produrle serve l'impegno delle imprese sperimentate non solo per un problema finanziario, ma professionale: si tratta di mettere in campo attrezzature e conoscenze di alto livello per un tempo più lungo. Se oggi la serie tv è un moltiplicatore del piacere cinematografico, lo è anche in termini di investimento di risorse”.

Da piccoli a grandi il caso Groenlandia

La strada per i piccoli produttori è molto faticosa, “anche se abbiamo tutti iniziato come piccoli” dice Tozzi, “e poi si può crescere, basti guardare Groenlandia, piccola società indipendente che oggi è una major (produttrice di successi come ‘La legge di Lidia Poet' e ‘Hanno ucciso l'Uomo Ragno', oltre che dei film di Sydney Sibilia, ndr). Uno spazio di crescita c'è ma devi essere bravo e pure un po' fortunato”.

Anche per questo i produttori indipendenti hanno molto più spazio nel cinema. “In Italia si fanno 250 film, e per la grande maggioranza sono di piccole produzioni, le società integrate (salvo Freemantle) producono pochi film” dice Tozzi che entra nel dibattito sul tax credit, un meccanismo di finanziamento pubblico che, secondo i più critici, nella sua nuova versione ha finito per penalizzare proprio gli indipendenti.

“Nel mondo delle serie tv il tax credit ha una funzione competitiva a livello internazionale (lo hanno i nostri concorrenti) e ha generato occupazione ed esportazioni. È difficile che ci siano abusi, perché se si lavora con Rai, Sky, Netflix e Amazon e altri grandi media, i controlli sono strettissimi. Nel cinema, che è stato messo in crisi dallo sviluppo delle piattaforme, non si è ripreso dalla batosta del lockdown e si trova in una fase di transizione globale, il tax credit, insieme ai contributi selettivi, ha una funzione vitale. E il cinema è essenziale per i processi di innovazione di tutto il sistema. Ci sono minori controlli, ma il quadro non è disastroso come lo si dipinge e abolire o paralizzare il sistema con ricorsi e controricorsi non è la soluzione, il dialogo resta lo strumento migliore”. 

Il bene e il male del tax credit

Tozzi difende la riforma voluta dal governo e che ha affrontato i difetti della impostazione precedente e i problemi sollevati dalla grande industria cinematografica. Ma riconosce che gli sbarramenti all'accesso vanno modificati perché "il rischio è di buttare il bambino con l'acqua sporca". Ma, dice, i ricorsi presentati da alcuni produttori hanno finito per “creare un clima di incertezza che ha nociuto a tutti, soprattutto ai produttori minori. Bisogna uscire dall'idea che questi siano interventi assistenziali in favore di un'attività amatoriale: cinema e tv sono attività industriali nelle quale lo Stato ha deciso di intervenire”.

Quanto alle proposte di mettere un tetto alla partecipazione pubblica alle produzioni o di introdurre un de-escalator (un meccanismo a scaglioni che diminuisce il contributo statale quanto più alto è il budget), che ha trovato accoglienza nel recente decreto, Tozzi parla di una contraddizione in essere: “Sarebbe come tassare di più un'azienda automobilistica solo perché produce vetture più potenti”, dice. 

Non è vero anche, secondo il patron di Cattleya, che nella sua attuale versione il tax credit abbia dato il via alla ‘campagna acquisti' di grandi major internazionali sul mercato delle società di produzione italiane. “È un fenomeno mondiale che è cominciato prima che in Italia ci fosse il tax credit” spiega, “la tv è un business maturo e le grandi emittenti, soprattutto quelle private, hanno creato società parallele – gli studios - che comprano società di produzione perché questa è diventata più importante del broadcasting. A spingere gli stranieri a investire non sono i crediti fiscali, ma le capacità produttive. Pensare che un colosso come Freemantle, che compra società in tutto il mondo, lo faccia per il tax credit italiano significa guardare al dito e non alla Luna”.

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