C'è vita sul confine

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AGI - Il muro di Tijuana o muro della vergogna è la barriera di separazione tra Stati Uniti e Messico eretta a partire dal 1993 lungo il confine tra i due Paesi per prevenire l'immigrazione illegale. Da sempre oggetto di contesa politica, nonostante della sua costruzione siano stati responsabili, negli anni, sia democratici che repubblicani, rappresenta un simbolo di divisione estremamente potente. A questo simbolo, il fotografo e documentarista Francesco Anselmi ha dedicato un prezioso volume dal titolo ‘Borderlands'(Kehrer, edizione internazionale) dopo averne esplorato interamente il versante statunitense tra il 2017 e il 2019 nel corso di diversi viaggi.

 

Autore di lavori pubblicati su testate del calibro di Le Monde, Wall Street Journal e Die Zeit, esposto in prestigiose sedi museali e vincitore di premi come il Visa d'Or per la Stampa Quotidiana, Anselmi si giova in questo lavoro anche di un testo dello scrittore americano Francisco Cantù, già autore di ‘The Lines becomes a river / Solo un Fiume a separarci' (The New York Times bestseller). Bianco e nero Rigorosamente in bianco e nero, le lucenti immagini catturate dall'obiettivo di Anselmi sono al tempo stesso laconiche e significanti.

 

La frontiera è rappresentata come un luogo scarno dominato da una natura spesso aliena, ma il suo carattere drammatico resta comunque estremamente vitale metro dopo metro, nonostante la presenza di un muro. Ci sono chiese e armi, rodei e cimiteri, manifestazioni di protesta e matrimoni, volti e corpi colti nell'attimo quotidiano; esistenze quindi, riprese da uno occhio neutro e imparziale, ma evidentemente anche partecipe ed alla costante ricerca di un senso che sfugge.

Non è solo una visione dell'emergenza, i 3.600 km del muro vengono descritti come sfaccettati e contraddittori proprio come merita di esserlo qualsiasi luogo preciso, pur situato esattamente a metà tra due realtà. Invitando chi guarda, come scrive Francisco Cantù nel saggio d'accompagnamento, a riflettere su ciò che viene osservato e percepito, non solo dalle persone ritratte, ma anche da se stesso. Sfatando l'immaginario collettivo comune di un confine chiuso e militarizzato, ‘Borderlands' mostra come solo alcune sue parti siano effettivamente attraversate da barriere fisiche: le fotografie disvelano significative differenze tra regioni come il Texas, dove il muro corre anche attraverso le città, e l'Arizona, nel cui deserto i migranti sono costretti a percorrere tragitti lunghi e pericolosi a piedi.

 

Il libro documenta anche le problematiche legate alla sicurezza, come il traffico di droga e il movimento migratorio illegale, ma facendolo sembra intanto invitare a chiedersi quali siano le risposte corrette a queste terribili sfide. Per Anselmi, insomma, le terre di confine sono semplicemente il territorio di un popolo, che vale la pena sforzarsi di capire. Per questo, sfogliando ‘Borderlands', si avvertono sia distanza che vicinanza, sia compenetrazione che stupore, mentre, pian piano, l'idea stessa che sottende all'uso del bianco e nero finisce per estendersi, rischiarandola, anche alla mente del lettore: la fotografia può essere qualcosa di più di un semplice mezzo espressivo.

 

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