A Chernobyl c'è un fungo che si nutre di radiazioni

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AGI - Nelle pareti interne della centrale nucleare di Chernobyl, uno dei luoghi più radioattivi al mondo, gli scienziati hanno identificato un particolare fungo nero, Cladosporium sphaerospermum. Grazie alla melanina, il pigmento scuro che lo caratterizza, questo organismo sembra utilizzare le radiazioni ionizzanti attraverso un meccanismo che ricorda la fotosintesi delle piante. Il fenomeno, definito "radiosintesi", resta però in gran parte misterioso. La scoperta risale alla fine degli anni Novanta, quando un gruppo guidato dalla microbiologa Nelli Zhdanova dell'Accademia nazionale delle scienze ucraina iniziò a esplorare la zona di esclusione di Chernobyl per valutare quali forme di vita fossero sopravvissute intorno al reattore danneggiato.

Con sorpresa, gli studiosi individuarono un'intera comunità fungina composta da 37 specie, molte delle quali caratterizzate da tonalità nere o molto scure, ricche di melanina. C. sphaerospermum risultò essere la specie predominante e mostrava livelli particolarmente elevati di contaminazione radioattiva. L'interesse per questi funghi aumentò quando un team di ricercatori guidato dalla radiofarmacologa Ekaterina Dadachova e dall'immunologo Arturo Casadevall, osservò che l'esposizione alle radiazioni ionizzanti non danneggiava C. sphaerospermum come accade alla maggior parte degli organismi viventi.

Effetti delle radiazioni ionizzanti

Le radiazioni ionizzanti, infatti, sono abbastanza potenti da strappare elettroni dagli atomi, generando ioni che possono distruggere molecole, compromettere reazioni cellulari e frammentare il DNA, un processo che nell'uomo può essere letale ma utilizzato per colpire cellule tumorali particolarmente sensibili. Il fungo di Chernobyl, invece, non solo resisteva a tali radiazioni, ma mostrava una crescita più rapida quando sottoposto a esse. Alcuni esperimenti hanno anche rivelato che la melanina nei funghi modificava il proprio comportamento in risposta alle radiazioni, suggerendo un possibile ruolo attivo nel processo.

Il modello della radiosintesi e le sfide future

Nel 2008, Dadachova e Casadevall proposero per la prima volta un modello biologico analogo alla fotosintesi: i funghi melanizzati potrebbero assorbire le radiazioni ionizzanti e convertirle in energia, con la melanina che agirebbe come la clorofilla vegetale. Allo stesso tempo, la melanina fornirebbe una protezione contro gli effetti più dannosi delle radiazioni. Ulteriori indizi sono arrivati nel 2022, quando C. sphaerospermum è stato inviato nello spazio e posizionato all'esterno della Stazione Spaziale Internazionale, dove è stato esposto direttamente alle radiazioni cosmiche. I risultati sembrano confermare una particolare capacità del fungo di sopravvivere e adattarsi a condizioni estreme. Nonostante ciò, molti aspetti restano irrisolti. Gli scienziati non sono ancora riusciti a dimostrare né un effettivo processo di fissazione del carbonio alimentato dalle radiazioni, né un guadagno metabolico misurabile o un percorso biochimico definito che permetta di parlare con certezza di radiosintesi.

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