AGI - La proteina TDP-43 svolge un ruolo cruciale nelle malattie neurodegenerative sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e demenza frontotemporale (FTD), promuovendo l'ipereccitabilità dei neuroni. A scoprirlo uno studio, pubblicato sulla rivista Nature Neuroscience, condotto dagli scienziati della Northwestern University. Il team, guidato da Evangelos Kiskinis, ha analizzato il tessuto nervoso di pazienti umani e cellule coltivate in laboratorio per capire i meccanismi associati a queste malattie. I risultati contribuiscono a spiegare un mistero di vecchia data sul perché le cellule nervose si attivano eccessivamente nella SLA e nella FTD, mettendo in luce anche un nuovo promettente farmaco che potrebbe rallentare o prevenire la degenerazione.
La sclerosi laterale amiotrofica, spiegano gli esperti, attacca i motoneuroni del midollo spinale e causa debolezza progressiva e atrofia muscolare. Questa malattia colpisce circa 350 mila persone in tutto il mondo. La demenza frontotemporale provoca invece l'atrofia dei lobi frontali e temporali del cervello, associati al controllo della personalità, del comportamento e del linguaggio. Secondo le stime attuali, tra 1,2 e 1,8 milioni di persone ogni anno convivono con qualche forma di DFT. Sebbene le due condizioni siano piuttosto diverse, entrambe sono caratterizzate da ipereccitabilità neuronale, in cui i neuroni si attivano troppo e troppo facilmente. Ricerche precedenti hanno rivelato che quasi tutti i casi di SLA e fino alla metà di pazienti con FTD sono associati a uno spostamento della proteina TDP-43, che migra dal nucleo al citoplasma interrompendo la funzione cellulare.
L'ipereccitabilità neuronale è stata associata a un rischio maggiore di mortalità. Nell'ambito dell'indagine, i ricercatori hanno progettato, sviluppato e testato un farmaco mirato ai geni che può correggere l'ipereccitabilità nei neuroni coltivati in laboratorio. Il medicinale, noto come oligonucleotide antisenso (ASO), dovrebbe essere convalidato e approvato clinicamente, e verrebbe somministrato tramite iniezione diretta nel sistema nervoso centrale del paziente.
"Siamo entusiasti di questo lavoro - conclude Kiskinis - abbiamo dimostrato che le persone con un errore di splicing più grave di KCNQ2 presentavano un esordio precoce della malattia. I risultati suggeriscono un nuovo potenziale bersaglio terapeutico. Nei prossimi step, speriamo di validare la sua efficacia attraverso sperimentazioni mirate, allo scopo di migliorare il benessere di tantissime persone".
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