AGI - Nel perseguire la sua missione di celebrare il Seicento e il Barocco in tutte le sue forme artistiche, la Galleria Borghese mette alla prova a quattro secoli di distanza le idee inquisitorie del suo fondatore, il cardinale collezionista Scipione Borghese. Dal 19 novembre al 9 febbraio, al poeta Giovan Battista Marino è dedicata una mostra che sfida colui che lo osteggiò in tutti i modi nella Roma papale della Controriforma, in una ideale tardiva riconciliazione fra i due grandi personaggi.
"Poesia e pittura nel Seicento. Giovan Battista Marino e la meravigliosa passione" racconta, nelle sale che riaprono per l'occasione dopo un restauro ancora in corso in altre parti del museo, le connessioni fra poesia e pittura, sacro e profano, letteratura, arte e potere all'inizio del Diciassettesimo secolo. E' la stessa direttrice Francesca Cappelletti a evidenziare il paradosso di "ambientare qui una mostra dedicata a Marino, che non riuscì mai a entrare nella committenza del cardinale Borghese". Il legame fra poesia, pittura e scultura permesso dall'ambientazione nel regno del Barocco è l'espressione pratica di quella "galleria sognata e immaginata" dal poeta, negli stessi anni in cui il cardinale la realizzava concretamente nella nascente Galleria Borghese. Ma fu proprio lo stesso cardinale-collezionista uno dei principali accusatori nel processo inquisitorio che avrebbe portato Marino all'abiura della sua opera e a un nuovo esilio da Roma, in seguito alla pubblicazione, in Francia, del poema Adone.
Una copia d'epoca è esposta nella prima sala della mostra; in alto, sulla prima pagina del volume riccamente rilegato, appare la scritta a mano "Proibito I classe". In altre parole, ha spiegato uno dei curatori, lo storico della letteratura Emilio Russo, "non si doveva nemmeno guardare ne' toccare". E dire che ai tempi Adone era stato autorevolmente definito un "poema di pace" in cui sensualità e bellezza tentavano di contrastare un'epoca bellicosa e di "allontanare i dolori della guerra".
Il pericoloso gioco di Marino, e di molti dei "suoi" pittori, fra sacro e provano era in tempi di Controriforma e Inquisizione visto come un'inaccettabile contaminazione, che invece a maggior ragione la mostra romana valorizza. L'esposizione utilizza i testi di Marino per disegnare "un percorso attraverso la grande arte rinascimentale e barocca, da Tiziano a Tintoretto, da Correggio al Carracci, da Rubens a Poussin, celebrando il più grande poeta italiano del Seicento e la sua meravigliosa passione per la pittura", oltre ai suoi rapporti con gli artisti, fra i quali anche il Caravaggio che quasi certamente incontrò divenendone amico, al punto che in una lettera del nipote è citato addirittura un ritratto caravaggesco del poeta, andato perduto, che viene descritto come esposto sulla stessa parete di un altro quadro dedicato dal grande contemporaneo pittore della luce proprio a lui, il suo "nemico" Scipione Borghese.
L'ambizione da collezionista di Marino fu delusa da una misteriosa perdita di opere in un viaggio marittimo da Parigi a Roma e il suo progetto interrotto dalla morte che lo colse a 56 anni nella natia Napoli, quasi esattamente 4 secoli fa, proprio mentre stava per mettere in cantiere la grande casa museo che aveva sempre desiderato.