AGI - In uno scenario contemporaneo dove la guerra è tornata in primo piano, anche il tennis, lo sport dei gesti bianchi dove le battaglie dovrebbero riguardare solo il campo di gioco, si sta trovando a fare i conti con i veri conflitti. I tennisti ucraini Alex Dolgopolov ex numero 13 del mondo e Sergej Stakhovsky (best ranking 31, professionista fino al 2022) militano nell'esercito ucraino dall'inizio del conflitto, i tennisti russi giocano senza bandiera per decisione del Cio, e non sono poche gli ucraini che a fine match si rifiutano di stringere la mano agli avversari russi (soprattutto in campo femminile, ultima in ordine cronologico l'ucraina Svitolina dopo la vittoria sulla Kudermetova all'Australian Open).
Ma se la storia di Dolgopolov e Stakhovsky colpisce perché dopo il crollo del Muro di Berlino si parlava di un futuro in cui le guerre sarebbero scomparse e in cui i soli conflitti possibili sarebbero stati quelli in scena sui campi dello sport e del tennis in particolare, i due ucraini non sono i soli ad aver vissuto, nella storia un incrocio fatale tra guerra e tennis.
Con le pallottole che hanno preso il posto delle palline. ‘Racchette di guerra', il nuovo libro di Piero Valesio, giornalista e scrittore, pubblicato da Absolutely Free libri racconta la storia, finora mai approfondita, di quelle campionesse e di quei campioni del tennis che la vita ha poi trascinato in guerra, costringendoli ad applicare in contesti profondamente diversi i criteri di vita che avevano imparato sui campi di gara di mezzo mondo.
Un excursus che parte da Tony Wilding, plurivincitore a Wimbledon, motociclista appassionato e personaggio dell'alta società europea morto nel 1917 sul crinale di Aubers, in Francia e arriva appunto ai due ucraini contemporanei. Passando per la storia di Don Budge, il primo a centrare il Grande Slam, che si infortunò gravemente addestrando un gruppo di piloti dell'Air Corps ad arrampicarsi su una corda e per Johnnie Ashe, che andò in Vietnam al posto del celebre fratello Arthur.
Il saggio romanzato racconta anche storie di donne: come quella della tennista americana Alice Marble che non potendo arruolarsi nell'esercito americano divenne spia e si rese protagonista di una delle operazioni più romanzesche del secondo conflitto mondiale. Vicende umane avvincenti che diventano simbolo di come, nel giro di un attimo, si può passare dall'armonia di un gioco all'orripilante disordine di tutti i conflitti. Oggi come allora, altro che fine della storia. Ha detto Jimmy Connors: “La gente non capisce che là fuori è una dannata guerra”. Sarà per questo che le storie dei tennisti coinvolti in attività belliche provocano, oggi più che mai, più di un brivido.