Quando la maternità diventa un master

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AGI - Genitorialità e lavoro: un binomio possibile? In occasione di Women and the city, il festival sulla parità di genere che si terrà a Torino dal 22 al 26 ottobre, Agi ha incontrato Riccarda Zezza, imprenditrice digitale e fondatrice della piattaforma di sviluppo Lifeed che valorizza e porta sul lavoro le competenze che vengono sviluppate dalle dimensioni di vita delle persone - come la genitorialità, l’amicizia, l'accudimento di una persona anziana, una malattia.

Oggi la piattaforma Lifeed è utilizzata da 70.000 persone in 100 aziende, in Italia e nel mondo. Ideatrice del metodo del Life Based Learning, Riccarda ha ricevuto numerosi riconoscimenti: nominata Most Influential and Innovative Woman da Fortune, è tra le 40 donne che stanno rivoluzionando l’innovazione di genere secondo la Citi Foundation, è Fellow di Ashoka  – l'organizzazione che seleziona i migliori innovatori sociali del mondo – è membro onorario del Cesvi e fa parte del Network Europeo del Weizmann Institute.

Il talk di Riccarda Zezza, “Chi si prende cura, cambia le regole del gioco” a Women and the City sarà venerdì 24 ottobre nella Sala Grande del Circolo dei Lettori di Torino, condotto da Francesco Munafò.

Zezza, ma cosa si intende per “life-based learning”?

Se è vero che la storia è maestra, ancora di più lo è la vita, che con le sue mille sfide ci mette alla prova, ci trasforma e ci forma. Soprattutto per quanto riguarda le cosiddette “competenze soft”, l’apprendimento richiede il verificarsi di tre fattori che è molto difficile produrre in un’aula: primo, la pratica ripetuta di nuovi comportamenti, secondo, con persone e situazioni ad alta motivazione e terzo, con feedback reali e immediati. I ruoli e le relazioni che sono nella nostra vita – amici, genitori, sportivi, professionisti eccetera – ci danno proprio questo: palestre continue di esercizio di competenze relazionali, creative, di leadership. Quello che manca è solo la componente riflessiva, e il Life Based Learning la fornisce, trasformando tutta la vita in apprendimento continuo.

Da dove è nata la sua intuizione di considerare la maternità e la paternità come esperienze che sviluppano competenze professionali?

Dalla mia esperienza personale: quando sono diventata madre la seconda volta, ho capito quante competenze mi aveva dato la prima maternità e come avesse cambiato la mia leadership, ma al tempo stesso mi sono accorta che il mondo del lavoro lo ignorava, sprecando risorse preziose – i miei nuovi talenti. Da lì, ho iniziato a fare ricerca e ho scoperto che scientificamente era già noto che eventi della vita come la maternità fornissero nuove competenze, ma che gli stereotipi della società impedivano che questo accadesse.

Qual è stata la sfida più grande nel tradurre un concetto così umano in un modello di business e formazione?

Come racconterò a “Women and the City”, si tratta di un vero e proprio cambio di paradigma: dal considerare vita e lavoro in conflitto al riconoscerne e attivarne le molte sinergie. I cambiamenti di questo tipo, però, si scontrano con un intero ecosistema di soluzioni che rispondono al paradigma precedente, che fanno ovviamente resistenza per preservare il proprio mercato.

In che modo le aziende possono valorizzare davvero le esperienze personali dei propri dipendenti come risorsa, e non come ostacolo?

Bisogna cambiare la narrazione: che vuol dire cambiare il linguaggio, le domande e gli spazi per consentire alle persone la libertà di portare sul lavoro nuove risorse, altrimenti intrappolate in gabbie di definizioni troppo strette. Non vuol dire che occorre “essere un genitore” al lavoro, ma che possiamo portare sul lavoro alcune capacità ed energie che sviluppiamo, per esempio, come genitori (o amici, o figli, o sportivi...). Per farlo, possiamo usare la “transilienza”: una nuova competenza che consente proprio di trasferire le proprie risorse tra i propri ruoli.

Come si bilancia cura e produttività, l’Italia in questo a che punto è?

Dobbiamo uscire dall’idea del “bilanciamento”, che vede cura e produttività come due forze contrapposte – questo vuol dire cambiare il paradigma: la cura migliora la produttività, sono due forze che vanno nella stessa direzione!

Se potesse dare un consiglio a una giovane professionista o madre che oggi si sente sopraffatta dal dover “fare tutto”, cosa le direbbe?

Non possiamo fare tutto, ma possiamo essere di più: se portiamo di più di noi stessi nelle varie situazioni, avremo più risorse, e laddove essere tante cose ci sembra una fonte di stress, diventerà una fonte di energia, motivazione, efficacia. Non sono forse le sfide della vita, i ruoli impegnativi, faticosi, coinvolgenti che abbiamo, a renderci quel che siamo e a dare un senso alle nostre vite?

 

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