Per la morte di Roosevelt il brindisi nel bunker di Hitler   

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AGI - Appena Joseph Goebbels nel bunker di Berlino ebbe la notizia della morte del presidente degli Stati Uniti Frank Delano Roosevelt, ordinò di stappare lo champagne. Per il ministro della Propaganda del Terzo Reich quel 12 aprile 1945, con la scomparsa di uno dei “Tre grandi”, doveva rappresentare il giorno della riscossa e del rovesciamento delle sorti della guerra. Appena un mese prima, a Jalta, assieme a Winston Churchill e Josif Stalin, Roosevelt aveva disegnato i destini del mondo alla fine del secondo conflitto mondiale. Il suo volto esprimeva già allora l'impressione che il presidente fosse gravemente malato, e i fatti successivi confermeranno in qualche modo che quella che appariva come arrendevolezza verso i piani di Stalin poteva essere indotta dalla sofferenza.

Dal 30 marzo si trovava a Warm Springs, in Georgia, nella sua residenza estiva, per cercare di recuperare le energie fisiche e nervose perse in quel summit impegnativo di Jalta. Il 12 aprile stava posando per un ritratto, quando all'improvviso aveva perso i sensi. I soccorsi erano stati immediati, ma un minuto dopo quello svenimento Roosevelt non era più di questo mondo, stroncato da un'emorragia cerebrale fulminante. 
  
Il Führer e la profezia col re di Prussia Federico il Grande 

Nel bunker di Berlino dove si consumavano gli ultimi spasmi del Terzo Reich, Goebbels aveva letto ad Adolf Hitler un passo di un libro che adorava, la biografia del re prussiano Federico II di Thomas Carlyle. Federico il Grande, impegnato nella Guerra dei sette anni, veniva da una serie di sconfitte sul campo di battaglia preludio a un esito che pareva irreversibile per il regno degli Hohenzollern. Il sovrano aveva meditato il suicidio, intenzionato a togliersi la vita se entro il 15 febbraio 1762 non fosse intervenuto un evento eccezionale a cambiare il corso di quella guerra al fianco della Gran Bretagna e contro potenze quali Austria, Francia Russia, Svezia e Polonia.

Il 12 febbraio, improvvisamente, morì la sua tenace nemica, la zarina Elisabetta di Russia. Il successore Pietro III, suo grande ammiratore, nonostante fosse a un passo dal prendere Berlino, si chiamò fuori da quella guerra e anzi si alleò con Federico riuscendo pure a mettere fuori gioco la Svezia. Il disastro si trasformò in vittoria, col riconoscimento della Prussia come potenza di primo rango. Questo passaggio, stando al diario del conte ed ex ministro Lutz von Krogsik, fece inumidire di commozione gli occhi del Führer: anche lui si aspettava un segno dalla Provvidenza, dopo i tanti che riteneva lo avessero messo al riparo da numerosi attentati, tra i quali l'ultimo del 20 luglio 1944. Un ufficiale della cerchia più stretta di Hitler aveva lanciato l'interrogativo profetico sulla prossima zarina che, morendo avrebbe cambiato il corso della storia. Krogsik, tornato a casa, aveva appreso della morte di Roosevelt e aveva immediatamente telefonato al quartier generale del bunker che la zarina era morta, sicuro che tutti avrebbero capito. 
  
Nessun rovesciamento di fronte come speravano i nazisti a Berlino 
  
Ma stavolta la storia non si sarebbe ripetuta. La scomparsa di Roosevelt, pur improvvisa, non cambiava in nulla le sorti del Reich: non ci sarebbe stato nessun rovesciamento di fronte e nessuna coalizione antisovietica, dopo tutti gli orrori compiuti dai nazisti in Europa. Nessuno choc destabilizzante e nessun vuoto di potere a Washington. Il suo vice Harry Truman giurò subito e l'Operazione Manhattan, che avrebbe aperto l'era atomica, ne usciva rinvigorita. 
  
L'uomo che aveva inventato il New Deal e gestito il conflitto 
  
Il 14 aprile le solenni esequie segnavano il congedo da un politico e da un uomo che aveva profondamente segnato il Novecento americano. Aveva retto le sorti degli Stati Uniti per quattro mandati presidenziali, nelle fasi più delicate e scabrose, quali la rinascita dal disastro economico dovuto al crollo della Borsa di Wall Street nel giovedì nero del 1929, e l'attacco giapponese a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941che segnava la fine della neutralità e l'entrata in guerra. Roosevelt seppe gestire le emergenze con lucidità, efficacia, fermezza e lungimiranza.

Il suo piano di riforme entrato nella storia col nome di New Deal risollevò gli Usa da una crisi che non era solo finanziaria, lavorativa e produttiva. Celebri le sue parole con le quali ammoniva gli americani ad aver paura di una sola cosa: il loro timore di non poter cambiare le cose. Quando morì gli Stati Uniti erano una superpotenza mondiale dopo essere stati l'arsenale delle democrazie e il baluardo ai totalitarismi europei e all'imperialismo militarista nipponico. 
  
Quattro volte alla Casa Bianca 

  
Di professione avvocato, in gioventù era stato colpito dalla poliomielite i cui effetti alle gambe avversò con una inflessibile forza di volontà che fu capace di trasmettere ai suoi connazionali. Il suo primo mandato presidenziale, sancito da una schiacciante vittoria elettorale, risaliva all'8 novembre 1932. Il suo polso fu subito evidente, anche nel tenere la barra ferma nonostante le critiche aspre agli interventi statali sulle principali voci economiche del Paese, in contrasto con una radicata tradizione politica. Avendo attuato buona parte delle sue riforme, nel 1936 bissò l'esperienza alla Casa Bianca e mentre in Europa si addensavano le nubi della guerra, passata una prima fase di simpatia e anche di ammirazione nei confronti di Benito Mussolini, schierò gli Stati Uniti nell'isolazionismo e nella non ingerenza. Rieletto nel 1940, sosterrà a spada tratta la Gran Bretagna sotto le mire hitleriane con la Legge Affitti e prestiti del marzo 1941 che la riforniva di materiale bellico, industriale, militare e commerciale.

L'Europa era sotto il tallone tedesco, il Giappone sempre più aggressivo e lo spettro della guerra sempre più incombente. Dopo Pearl Harbor e «il giorno dell'infamia» non c'era alternativa e l'8 dicembre 1941 gli Stati Uniti entravano in guerra. L'11 dicembre era Mussolini a dichiarare guerra a un Paese dove c'erano milioni di italo-americani, di cui ignorava le immense risorse e di cui non aveva mai visto neppure l'elenco telefonico di New York. 
  
L'artefice di decisioni epocali strategiche e politiche 
  
Da quella fase in poi Roosevelt fu in prima linea per tutte le decisioni epocali che caratterizzeranno il corso del secondo conflitto mondiale. Suo il principio «Germany First» che indicava nel Reich il principale nemico da abbattere, ancor prima del Giappone aggressore a tradimento. Sue le decisioni prese nelle conferenze internazionali sulla conduzione della guerra a Casablanca, Québec, Il Cairo, Teheran, fino a Jalta dove si segnò uno spartiacque tra il prima e il dopo, che i “Tre grandi” disegnavano per il ricomporre gli equilibri e la geografia del mondo. Era stato rieletto nel 1944, con Truman come vice, ma non ebbe modo di vedere né la vittoria né gli Usa superpotenza mondiale. È stato uno dei più grandi presidenti della storia americana. 
  

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