"Oggi l'America è arrabbiata, Springsteen raccontava un altro Paese", The Boss secondo Cooper

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AGI - Bruce Springsteen quando non era ancora The Boss, quando era una delle grandi promesse della musica americana: reduce dal trionfo di 'The River', un album che aveva conquistato le classifiche e il cuore del pubblico, tutti aspettavano che il suo secondo lavoro consolidasse la fama per diventare poi leggenda. Ma Springsteen fece esattamente l'opposto: scivolò nell'oscurità dei propri fantasmi personali, in un periodo segnato dalla depressione, dal conflitto con il padre e dal senso di vuoto, e decise di realizzare un disco intimissimo, imperfetto, spoglio, che nessuno all'inizio voleva pubblicare.

Quel disco si chiamava 'Nebraska' pubblicato nel 1982. Da quella pagina dolorosa nasce oggi 'Springsteen, liberami dal nulla', il nuovo film diretto da Scott Cooper con protagonista Jeremy Allen White. Girato tra il New Jersey e New York, il film alterna flashback familiari e visioni in bianco e nero, per evocare la memoria, i sogni e i traumi di un artista che si misura con se stesso. La fotografia curata e malinconica, le scenografie fedeli agli anni Ottanta e la scelta di uno stile minimalista fanno di questo lavoro una riflessione poetica sull'anima del Boss prima del mito. Nel cast da segnalare, oltre alla grande prova di Jeremy Allen White, anche quelle di Jeremy Strong che interpreta il manager e di Stephen Graham nei panni del padre di Bruce.

"Springsteen ha raccontato e fatto conoscere l'America attraverso il suo sguardo, ma certamente c'è anche un'altra America", ha detto durante un incontro con la stampa a Roma l'attore Jeremy Allen White, già celebrato per 'The Bear' e ora in odore di Oscar.

Un ritratto politico e spirituale dell'America

"Bruce rappresenta un'idea d'America. Ha aiutato le persone a comprenderla, ma oggi quella visione non basta più - ha spiegato - l'America di oggi non può essere raccontata completamente da una visione. Oggi l'America è arrabbiata, mentre 'Nebraska' è un disco che parla di speranza. È un'opera universale, come il film stesso, perché racconta ciò che accade quando la musica diventa un modo per sopravvivere". Il film non è solo un racconto biografico, ma anche un ritratto politico e spirituale dell'America: "Penso che Bruce scrisse quell'album nel 1982 nello stesso modo di come noi oggi abbiamo scritto questo film", ha spiegato Scott Cooper. 'Nebraska', ha aggiunto il regista, "parla di un certo malessere, di un vuoto spirituale, di un'ambiguità morale. Bruce è politico, ma non in senso partitico: lo è in senso umano. Dà voce ai diseredati, a chi vive ai margini della società, a chi conduce una vita di silenziosa disperazione, a chi insegue il sogno americano e non riesce a raggiungerlo. È per questo che l'album, e oggi il film, restano così attuali".

L'eredità familiare del regista Scott Cooper

Cooper ha raccontato anche come questo progetto sia stato per lui un'eredità familiare: "Mio padre mi ha fatto conoscere tutti i generi musicali, dall'opera alla classica, ma quando mi fece ascoltare Nebraska ero disilluso e incerto. Quel disco arrivò al momento giusto. Quando ho letto il libro da cui è tratto questo film, mi ha parlato di onestà e squilibrio, e io mi sentivo esattamente così. Il giorno prima di iniziare le riprese, mio padre è morto. Mi ha guidato con il suo spirito, e credo che il film gli sarebbe piaciuto".

I retroscena della produzione e la ricerca dell'Imperfezione

Durante l'incontro il regista ha poi svelato diversi retroscena della lavorazione: "Bruce non concede la sua storia con facilità. Questa è la prima volta, in cinquant'anni, che lascia il volante a qualcun altro. Mio padre mi fece conoscere Bruce proprio grazie a Nebraska, e quando ho incontrato Jon Landau, mi ha detto che era la prima volta che Bruce si concedeva così tanto. Sono molto grato per questo", ha aggiunto, sottolineando poi come la ricerca dell'imperfezione sia la chiave estetica e morale del film: "Quando Bruce fece 'Nebraska', il processo normale era recarsi in studio, scrivere e registrare lì. Lui fece qualcosa di non ortodosso - ha spiegato - registrò in camera da letto, con un boombox corroso che riproduceva il nastro a una velocità più bassa. L'album nacque da un errore tecnico. Oggi puoi perfezionare tutto con l'autotune, ma Bruce inseguiva l'imperfezione, voleva catturare la verità. È per questo che credo sia il suo disco più punk".

Jeremy Allen White: "L'uomo dietro il mito"

Jeremy Allen White, che incarna con intensità la vulnerabilità del giovane Springsteen, ha raccontato la propria esperienza di fronte a una figura così carismatica: "Quando ho incontrato Bruce a Wembley, l'ho visto nel suo elemento, cantava davanti a novantamila persone. C'è violenza e passione nelle sue performance, ma quando gli parli lontano dal palco trovi una grande gentilezza. Mi ha lasciato la libertà di interpretarlo, ci ha permesso di parlare con chi gli era vicino in quegli anni. Abbiamo scoperto l'uomo, non il mito".

"È stato un compito molto pesante - ha detto ancora l'attore - sono arrivato nel progetto quando la scrittura e la sceneggiatura erano già state elaborate da Bruce e Jon. In quel momento della sua vita lui era a un crocevia, e le sue scelte gli hanno permesso di condurre la vita che conosciamo. Io non volevo rompere il suo rapporto con il pubblico".

Il rapporto con il padre e le relazioni personali

Molto spazio, nel film, è dedicato anche al rapporto tra Bruce e il padre, tema che attraversa l'intera sua produzione artistica. "Bruce ha scritto molto apertamente di quel rapporto - ha detto White - è cresciuto in un mondo in cui il padre era imprevedibile, e credo che questo gli abbia reso difficile fidarsi di ciò che lo circondava. C'era molta rabbia, ma anche delusione. Alla fine, però, ha lasciato spazio alla comprensione. Ovviamente non manca l'aspetto sentimentale col rapporto con la prima vera fidanzata, Fay, che lascia andare proprio per il terrore di affrontare la felicità. Lo stesso terrore che aveva dinanzi alle porte del successo che gli si stavano spalancando davanti.

Ricostruzione fedele e la forza dell'intimità

Cooper ha voluto ricostruire fedelmente l'ambiente di quegli anni: "La mia scenografa italiana Stefania Cella è stata straordinaria nel ricreare la vita di Bruce. Abbiamo girato in location autentiche, come lo Stone Pony e gli studi di New York. Bruce ci ha persino prestato alcuni abiti d'archivio per Jeremy. La sua presenza sul set è stata una delle più grandi gioie della mia carriera". E se la grandezza del film sta nella sua intimità, la sua forza è tutta nella scelta di spogliare la leggenda: "Il film che Bruce non avrebbe mai accettato di far realizzare era Born in the Usa - ha detto ancora Cooper - ha accettato 'Nebraska' perché lo considera il suo lavoro più personale e migliore. Il pubblico aveva capito Bruce nel 1982, ma credo che oggi lo capirà ancora di più. Non volevamo fare un film su un'icona, ma raccontare un'anima che cercava di guarire. Bruce stava diventando una superstar, ma dentro si stava sgretolando nella sua disperazione silenziosa".

'Bruce Springsteen, liberami dal nulla' è un film sull'imperfezione come forma di verità, sulla fragilità come linguaggio dell'arte, sull'uomo dietro la leggendaScott Cooper lo dice con semplicità: "Come regista, a volte sei scelto dai progetti. Io sono stato scelto da questo film".

Jeremy Allen White verso l'Oscar?

Quella di Allen White è una grande prova attoriale. Potrebbe valere una candidatura Oscar come fu per altri interpreti di noti cantanti (Freddie Mercury o Elton John)? Per l'attore potrebbe essere utile al film perché gli permetterebbe di arrivare a più persone. Sul tema c'è chi ha delle certezze: secondo Scott Cooper "l'umiltà è una dote rara e Jeremy la possiede - ma non ha dubbi - credo che meriti l'Oscar".

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