AGI - Non un biopic di una delle più importanti scrittrici italiane del Novecento, la meno nota e la più popolare in questo momento, piuttosto "un ritratto" che prende spunto dal un momento particolare della vita di Goliarda Sapienza, "quale occasione migliore questo episodio della sua vita in cui è finita in prigione per un furto di gioielli". Così Mario Martone ha spiegato a Cannes la genesi di 'Fuori', unico film italiano in concorso al Festival presentato in anteprima mondiale sulla Croisette accolto da sette minuti di applausi.
La pellicola, interpretata con Valeria Golino, Matilda De Angelis ed Elodie, arriverà domani, 22 maggio, nelle sale con 01 Distribution mentre stasera si svolgerà l'anteprima speciale del film, in diretta dal Cinema Teatro Ariston di Sanremo e in live streaming in oltre 170 cinema selezionati di tutta Italia. Al termine della proiezione ci sarà un Q&A con regista e cast, moderato da Piera Detassis, presidente dell'Accademia Premi David di Donatello.
Una storia di amicizia e quasi d'amore tra donne diversissime che la realtà del carcere ha unito e reso quasi sorelle. Come ha spiegato Matilda De Angelis durante la conferenza stampa ufficiale a Cannes, "Martone ha avuto la capacita' di trovare delle persone al di la delle attrici che sapessero avere complicità. Tra le protagoniste c'era un amore sincero e volevamo che uscisse: una storia di amore, di amicizia, di sorellanza attraverso un codice segreto", ha aggiunto.
'Fuori' è tratto da due suoi libri, 'L'università di Rebibbia' e 'Le certezze del dubbio', in cui, riflettendo sulla condizione carceraria e la società di cui il carcere è contraltare, Goliarda Sapienza arrivo' a dichiarare come la prigione sia solo la forma più estrema di reclusione e che 'fuori', nella società civile, esistano forme di costrizione e limitazione della libertà più subdole e non meno pericolose.
Secondo Martone, nei suoi libri Goliarda Sapienza "fa un discorso politico importante per il rapporto che deve esserci con chi è in carcere, un rapporto che dev'essere di rispetto". "Nei suoi libri - ha spiegato ancora il regista - lei mescola verità e immaginazione. E ho fatto lo stesso anch'io: ho girato nella sua vera casa, nel carcere romano di Rebibbia con le detenute (alcune di loro hanno lavorato come attrici, ndr), ho rievocato la Roma del 1980 senza ricostruzioni, scavando con la macchina da presa nella città di oggi".
L'esperienza del carcere, ha spiegato ancora Martone, ha colpito profondamente Goliarda Sapienza. "In carcere conta il rapporto individuale con le altre detenute - ha detto il regista in conferenza stampa - non la cultura, la classe sociale o altre cose. Loro si osservano, si amano. Goliarda Sapienza nei salotti che frequenta si sente soffocare e poi, in prigione, improvvisamente, respira. Non perché il carcere sia luogo piacevole, ma perché è un ruolo dove le relazioni sono reali".
Durante la conferenza Martone ha poi spiegato il significato dell'inserto finale, sui titoli di coda, di un filmato di repertorio in cui la vera Goliarda Sapienza spiega a Enzo Biagi che la incalza: "Non ho detto che mi piace il carcere, ho detto solo che lì dentro è come fuori". Nel filmato, ha spiegato Martone, "c'è lei che parla del libro 'L'Università di Rebibbia', che era appena uscito, in una trasmissione televisiva con Enzo Biagi e altre persone di grande qualità intellettuale. Eppure era una donna in mezzo a degli uomini nel 1980 - ha spiegato - si vede chiaramente come ciò che lei dice non viene tenuto in nessun conto, anzi viene deriso. E questo ci dice perfettamente non solo la posizione di Goliarda nel mondo, nella società del tempo, ma anche cosa significava essere una donna che esprimeva delle posizioni diverse - ha aggiunto Martone - anche Pier Paolo Pasolini, che per certi versi è accostabile a Goliarda Sapienza, era una persona scomoda, era una persona che diceva cose non allineate al pensiero culturale dominante, ma Pier Paolo Pasolini era un uomo: era scomodo ma veniva comunque ascoltato".
Dal punto di vista tecnico Martone ha poi spiegato alcune scene di regia. "Era importante raccontare una città. Ero felice di fare un film a Roma, osservare la città. Era interessante in rapporto al racconto lo stato d'animo di Goliarda - ha detto - infatti il film è come se fosse guidato dallo sguardo di Goliarda a muovere le cose". La pellicola, ha detto ancora, "ho girato in 1:66, un formato desueto - i miei primi film erano in 1:66 - per rievocare cromaticamente il cinema di pellicola del tempo. Ho adottato anche delle soluzioni tecniche: qui per esempio uso lo zoom, cosa che in genere non faccio più ed è impiegato in modo evidente come accadeva nel cinema italiano degli anni '70. In quanto alla ricostruzione dell'epoca, a Roma cercando i luoghi reali. In ogni città c'è il suo passato - ha spiegato - devi saperlo guardare".