L'ultimo ballo di Richard Gasquet

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AGI - A pochi giorni dal suo addio al tennis, atteso alla fine del Roland Garros, Richard Gasquet si racconta senza filtri a Damien Gaudissart, giornalista dell'agenzia Afp. A 38 anni, l'ex enfant prodige del tennis francese saluta una carriera lunga oltre due decenni, fatta di sfide impossibili, aspettative precoci e una generazione di fenomeni che ne ha definito i limiti. Ma anche di soddisfazioni, amicizie, e una consapevolezza serena: “È la fortuna di aver potuto giocare, semplicemente”.

Gasquet ricorda quando, da ragazzino, guardava i Roland Garros in televisione con Jo-Wilfried Tsonga. “Pensare che un giorno ho potuto giocare anche io quei tornei, andare avanti nei tornei dello Slam, disputare la Coppa Davis... è comunque una fortuna. Abbiamo vissuto momenti molto forti, emotivamente”.

I rimpianti

“In una carriera ci sono inevitabilmente partite in cui ti dici che avresti potuto fare meglio, ma in generale ho dato tutto per cercare di migliorare. Di fronte avevo avversari fortissimi, quindi non è stato sempre facile. C'erano quei quattro là (Federer, Nadal, Djokovic, Murray, ndr) e sapevi che nei Masters 1000, negli Slam, persino in Coppa Davis, dovevi affrontarli. Per vincere grandi tornei, le occasioni erano poche. Ma è stata comunque una bella epoca.”

Su cosa abbia impedito a lui di fare come Stan Wawrinka o Andy Murray, capaci di vincere Slam, è diretto: “Sono stati più forti, semplicemente. Il tennis è semplice. C'è una classifica, un vincitore, non si bara. Murray, secondo me, era superiore a Wawrinka. Ma Wawrinka è migliorato, è riuscito a batterli nel loro momento migliore. E questo è bello.”

Con i coetanei del tennis francese – Tsonga, Simon, Monfils – c'è stato un rapporto di stimolo reciproco. “Ci siamo spinti a vicenda. Penso che da giovane io abbia spinto Jo, perché ero più forte e lui mi aveva un po' nel mirino. Se ha fatto quella carriera, è anche perché ero davanti. Monfils e Simon, stessa cosa, sono cresciuti insieme.”

E a proposito di Monfils, che continua a giocare ad altissimo livello a oltre 38 anni, Gasquet risponde senza invidia, ma con lucidità: “È felice in campo. Spero che continui così. Io non ce la faccio più, è molto dura. Ho (quasi) 39 anni, preferirei averne 25. Ma è il corso delle cose. Sai che a un certo punto, quando sei uno sportivo professionista, il corpo, la velocità… tutto diventa più difficile. Ma nel complesso sono felice di quello che ho avuto.”

Essere un predestinato

Ripensando all'etichetta di predestinato, finì sulla copertina di un magazine specializzato a 9 anni, vinse il primo match ATP a 15 – Gasquet ammette che la precocità è stata un'arma a doppio taglio. “Penso che non fossimo pronti. Ero molto forte, molto giovane, in Francia non avevamo mai vissuto una cosa simile. Tutti hanno dovuto imparare attorno a me. Ogni tanto ho sentito la mancanza di un entourage. Non è una scusa, ma è la piccola cosa che avrei voluto avere. A 15, 16, 17 anni vuoi migliorare, ma non con tutti quei riflettori. Ci sono stati momenti più difficili da gestire. Ma è la mia storia.”

Sguardo al presente

Il giudizio sull'evoluzione del tennis è critico. “C'è meno varietà rispetto a prima. Oggi c'è un tipo di giocatore che gioca più o meno allo stesso modo, colpendo molto forte e con un gran servizio. Ci sono sempre stati giocatori che giocavano con ritmo: Tomas Berdych, Robin Söderling… Ma oggi, su 100 giocatori, ce ne sono 95 che giocano così!”

E infine, l'ammissione più nostalgica: “Il problema è che non c'è più Federer. Mi manca, il suo gioco era incredibile. Poi, mi piace molto Carlos Alcaraz, è una bella vetrina per il tennis. Ha comunque un gran bel gioco. Non bisogna disperare per il futuro.”

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