AGI - Quanto dichiarato da Marco Travaglio nella quarta di copertina dà forse meglio di altri la cifra di cosa sia “Il figlio peggiore”, il romando di Peter D'Angelo e Fabio Valle (Fandango Libri): “Un libro crudele e viscerale, la denuncia di un'operazione segreta che non lascia incolume chi lo legge”.
Leggendo le circa 350 pagine del romanzo (che, attenzione, puro romanzo non è visto che si basa su carte processuali) si rilegge un pezzo di storia dell'Italia, quella che negli anni '70 ha vista una intera generazione minacciata, ed in parte rovinata, dalla diffusione dell'eroina.
A fare da sfondo al romanzo è la Roma degli anni '70, le accese e violente manifestazioni di piazza, le contestazioni tra gruppi neo-fascisti e comunisti, tra nostalgici del ventennio e operai mobilitati dai gruppi extraparlamentari. Ed in mezzo la Roma come centro di potere, cuore pulsante di una politica che in quegli anni visse forse uno dei suoi periodi più complessi tra discredito e operazioni per nulla convenzionali.
Al centro del romanzo c'è Carlo, un giovane giornalista del Giornale Sera che "non si identificava in niente, né sinistra, né destra, né sopra, né sotto" ma chiamato a far luce sul boom di una nuova droga che proprio in quegli anni sta invadendo le piazze di Roma e di mezza Italia. Un romanzo appassionante e davvero ben scritto, ma che semplice romanzo non è.
Carlo, il giovane giornalista al centro delle vicende, in ultima analisi non è che un narratore. I veri protagonisti sono senza ombra di dubbio alcuni documenti dei Ros e le testimonianza di un ex agente del Sid relativi all'inchiesta sull'operazione Blue Moon, nome in codice di un piano tutt'altro che convenzionale che facilitò la diffusione di sostanze stupefacenti (in particolare di eroina) come arma usata per destabilizzare e fiaccare i movimenti di contestazione.