AGI - Su TikTok e nei campus universitari si sta affermando una nuova figura maschile, ironicamente battezzata "performative man", il "maschio performativo": ragazzi che si presentano con matcha latte in mano, macchine fotografiche analogiche, borse di tela recuperate nei mercatini dell'usato e un'estetica dichiaratamente "soft", sensibile ed emotivamente consapevole, in aperta opposizione alla cosiddetta "mascolinità tossica".
Alla Metropolitan University di Toronto, un contest dedicato al "performative male" ha richiamato un pubblico numeroso: in gara studenti che, tra le risate del pubblico e l'attenzione delle coetanee, declamavano poesie, esibivano outfit di seconda mano o distribuivano assorbenti e tamponi per mostrare di essere "bravi ragazzi" attenti ai bisogni femminili.
Eventi simili sono stati organizzati da San Francisco a Londra, fotografando un cambiamento più ampio nel modo in cui la Gen Z vive e sperimenta il genere.
Questa nuova maschilità, però, suscita reazioni contrastanti: curiosità, ironia, ma anche giudizi severi. La generazione cresciuta sui social dichiara di valorizzare l'"autenticità" come criterio di fiducia. Se i millennial hanno perfezionato il profilo patinato fatto di selfie filtrati e "best moments", molti giovani di oggi premiano contenuti più grezzi, emotivi e spontanei.
Dentro questo contesto, il "maschio performativo" appare a molti come qualcuno che "si sforza troppo" di sembrare sincero: il taccuino Moleskine e il romanzo di nicchia in borsa rischiano di apparire segni di consumo più che di valori profondi. La filosofia e la sociologia ricordano però che ogni genere è, per definizione, una performance. Judith Butler, filosofa statunitense tra le voci più influenti al mondo negli studi di genere, ne ha parlato come di qualcosa che "si fa" attraverso azioni ripetute; i sociologi Candace West e Don Zimmerman parlano di "doing gender", il lavoro quotidiano con cui comunichiamo che siamo uomini o donne.
In questa ottica, il disagio o la sensazione di "falsità" di fronte ai nuovi codici maschili non nasce tanto da una finzione individuale, quanto dal fatto che ogni forma di genere è costantemente messa in scena e sorvegliata, e appare sempre un po' goffa prima di diventare "naturale". La derisione del "maschio performativo" finisce così per funzionare come un dispositivo di controllo: è un modo per tenere i ragazzi dentro il "man box", i confini ristretti della virilità socialmente accettabile.
Diversi studi mostrano che, dalla scuola al lavoro, gli uomini vengono giudicati più duramente delle donne quando escono dagli schemi di genere tradizionali. Il messaggio implicito è chiaro: si può essere vulnerabili o sensibili fino a un certo punto, ma senza esagerare. Nel contesto post-#MeToo, molti studiosi avvertono anche il rischio che queste nuove estetiche maschili non scalfiscano davvero i privilegi di genere.
Sociologi come Tristan Bridges e C.J. Pascoe parlano di "maschilità ibrida": uomini privilegiati che adottano linguaggi progressisti o estetiche considerate queer per consolidare, più che mettere in discussione, il proprio status. Secondo un'analisi dei contenuti TikTok più popolari tra i creatori maschi fatta da Jordan Foster e Jayne Baker chi gioca con i confini del genere attraverso la moda e la messa in scena finisce spesso per ribadire modelli di desiderabilità eterosessuale, corpi muscolari e norme di "bianchezza".
Molte critiche rivolte ai "performative men" insistono proprio su questo punto: usare il vocabolario del femminismo o della psicoterapia - parlare di consenso, vulnerabilità, salute mentale - senza modificare realmente il modo di condividere spazi, potere e attenzione con le donne o con soggetti marginalizzati. Altri ricercatori, come la sociologa Francine Deutsch, invitano pero' a non sottovalutare questi piccoli esperimenti.
Nella sua teoria dell'"undoing gender" sostiene che il cambiamento passa spesso da atti parziali e imperfetti: imitare, provare, giocare con i ruoli resta un modo fondamentale per immaginare altri modi di essere uomini e donne. Alcuni studi sulle politiche giovanili e sulla deradicalizzazione online suggeriscono anzi che hobby creativi e pratiche espressive possano contribuire a ridurre isolamento e vulnerabilità ai contenuti estremisti, un problema che riguarda in particolare molti giovani maschi.
Resta aperta la domanda se questi gesti possano tradursi in trasformazioni durature. In un ecosistema dominato dall'esibizione social e in una società dove il dominio maschile appare ancora resistente, non è semplice riconoscere cosa sia davvero cambiamento e cosa sia solo rebranding. Un segnale interessante è che molti creator maschi scelgono di non difendersi ma di "entrare nella battuta", usando la parodia per esplorare l'idea di un uomo più sensibile e meno aggressivo.
Il fenomeno del "maschio performativo" finisce così per riflettere anche le contraddizioni collettive: si chiede agli uomini di cambiare, ma li si critica quando lo fanno; si invoca autenticità ma si consuma performance; si pretende vulnerabilità, salvo poi respingerla quando appare troppo studiata. Se questa sperimentazione porterà a una revisione profonda della maschilità o resterà soltanto l'ennesimo trend virale, è tutto da vedere.







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