All'AGI Evan ha raccontato il progetto spiegando il perché di quel titolo: "Ogni cosa ha una sua intimità ed estrema eleganza. Il Mango - afferma l'artista - poteva essere benissimo una panchina, o un rafano. Ho scelto l'albero come icona perché sono molto vicino e affine al sistema vegetale, in particolare agli alberi. Poi è venuto fuori, lavorando su questa figura che è il frutto preferito di mio figlio, che nell'induismo è simbolo spiritualità. Ganesh, figura a cui sono devoto, nei suoi periodo di infanzia, ovvero Bla-Gaapati, spesso viene raffigurato con un mango maturo nella mano sinistra, come a mostrare che la sapienza più alta è già nelle sue mani, anche nel suo aspetto fanciullo. Mi piaceva tutto questo nesso".
Il nuovo lavoro intreccia musica, poesia e filosofia, e da te c'era da aspettarselo. Come ti poni nel panorama musicale italiano in un'epoca fatta di musica mordi e fuggi, rap, trap ecc?
"A proposito di panorama - risponde Evan - è chiaramente scorgibile il fatto che io sia affacciato a un altro panorama. Non tutti i paesaggi sono destinati a incontrarsi, siamo come rette. Stimo e ammiro molta musica italiana oggi, altra invece molto meno. Il fatto che frequenti montagne e mai tappeti rossi però, non mi fa entrare in famiglia con la scena, così facendo non costruisco confidenze né amicizie nel settore, fa niente, le querce pure sono simpatiche". Possiamo chiamare questo tuo ultimo lavoro, un romanzo musicale? "Per filo e per segno. Io l'ho battezzato musiromanzo, il senso è quello".
Che tipo di sonorità troviamo e che contaminazioni ci sono?
"Troviamo carismi balcanici e popolari, suono di classico cantautorato e contaminazioni swing e jazz. Desidero allontanarmi sempre di più dai suoni elettronici, nonostante mi piacciano un mondo, sento che sono chiamato per riprodurre la musica della terra".
Gio Evan è notoriamente un grande viaggiatore, lecito chiedergli se c'è un posto del mondo che ancora vuole visitare e che pensi possa ispirare un altro progetto.
"Ho tre chiamate importanti, un ritorno in Brasile, mi manca eccessivamente. Ho proprio la saudade. Poi voglio girare bene il Canada, prendermi un poco della sua natura in faccia e fare qualche esercizio di respirazione. E poi Livorno, ti giuro non so perché ma mi chiama Livorno. Devo andarci". L'album è uscito lo scorso 19 settembre, e da fine ottobre partirà un tour teatrale dal titolo "L'Affine del mondo", scritto e diretto da Evan, racconta la storia di un mondo costruito dall'affinità e dalla connessione tra esseri umani. "L'affine del mondo" mescola poesia, fisica quantistica, musica e comicità per riflettere sull'importanza dell'ascolto e dell'armonia, proponendo un nuovo modo di concepire la vita e le relazioni ed è legato ovviamente al nuovo album.
Quanto c'è di autobiografico nei testi di questo ultimo lavoro? "Perfino le virgole mi somigliano. Io sono l'apostrofo". Cosa racconta "Turno di notte"?
"Racconta il saluto, l'accettazione e l'accoglienza alla morte di mamma. Ho iniziato la strofa da figlio, l'ho finita da orfano. E' un portale, non una canzone. Io non voglio fare canzoni, tra l'altro, non mi interessa la canzone, voglio che sia rituale".
"Ti senti più libero nella musica o nella scrittura?"
"Nel pensiero e nella sua assenza. Eviterei ogni forma d'arte se fossimo capaci di telepatia. Mi dedicherei al vuoto e al suo totale. Non è così, dunque evoco. Ma romanzo, poesia, teatro, musica, non vedo differenza, nonostante l'albero ci illustra differenti ramificazioni, il sapere del suo frutto è uguale per tutti". Cosa ti auguri per il futuro? Ma prima ancora cosa auguri a tuo figlio? "Non serve il futuro. Lavoriamo in questo presente".