Amos Gitai mette in scena 'House' per raccontare la complessità del Medio Oriente

1 mese fa 17

AGI - Una serie di monologhi in 5 lingue, accompagnati dal rumore del taglio delle pietre e della costruzione di una casa, e la musica che a tratti irrompe prepotente nel racconto catturando l'attenzione e le emozioni degli spettatori. Le due ore e mezza di House, lo spettacolo di Amos Gitai in scena al Teatro Argentina per il Romaeuropa festival trascorrono così, nella durezza del racconto degli uni (gli abitanti israeliani) e degli altri (gli antichi proprietari e i muratori, entrambi palestinesi), dei punti di vista incompatibili e delle visioni del mondo di persone di culture contrapposte che perì condividono lo sradicamento dai rispettivi luoghi di origine. Un gruppo di attori e di musicisti di eccezionale bravura si alterna con voci e lingue diverse (francese, ebraico, arabo, inglese, yiddish), strumenti e percussioni di grande impatto in un cantiere simulato con impalcature di metallo e mattoni rettangolari di pietra bianca. Sullo sfondo, un grande video riproduce l'attività che si sta svolgendo su una parte o l'altra del palcoscenico vista da una prospettiva diversa da quella della platea, e poi album di vecchie foto di famiglie dai tristi destini, sfollati dalla Palestina o vittime dell'Olocausto, e immagini in bianco e nero di guerre e ricostruzioni. In scena è rappresentata la complessità del Medio Oriente, che è sfociata nel conflitto in corso.

 

 

 

 

I primi minuti dello spettacolo sono dedicati alla madre del regista, Efratia, nata nella Palestina britannica all'inizio del '900 e morta 20 anni fa, che dallo schermo legge al figlio una lettera scritta mentre si trovava nel kibbutz dove è cresciuto, lontano da lei che aveva scelto l'Europa. Amos Gitai ha per la prima volta raccontato la storia di una casa a Gerusalemme Ovest nel lontano 1980, con un documentario (il primo di una trilogia) che gli costò l'ostracismo del governo israeliano, seguito dalla scelta di trasferirsi negli Stati Uniti a finire l'università (è architetto di formazione) e poi a Parigi; tornerà a Tel Aviv nel 1995 ma la sua attività creativa rimarrà molto critica nei confronti del governo e ispirata da pacifismo e consapevolezza della necessita' di convivenza fra i due popoli.

 

Dopo il film Why War presentato a Venezia, anche questo spettacolo cerca le origini del conflitto in corso in Medio Oriente nella storia. Nella pellicola, si parte da un carteggio degli anni '30 fra Einstein e Freud. La scena teatrale ripercorre invece la storia di una casa a Gerusalemme, prima del 1948 abitata da un'agiata famiglia palestinese, poi occupata dagli ebrei superstiti dell'Olocausto, e successivamente acquistata dalle più recenti generazioni di israeliani. Ognuno racconta le proprie storie, le proprie ragioni, e la serie di monologhi culmina in potenti scene sonore in cui strumenti e voci cantanti enfatizzano la tensione del tema. Nel cast, si riconosce l'attrice francese Irene Jacob, resa celebre in gioventù dai film del regista polacco Kieslowski, ma protagonista anche di Why war oltre che madre del giovane attore-rivelazione Paul Kircher, assieme a interpreti provenienti da diversi luoghi del Medio Oriente. 

 

 

 

 

 

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