A mani nude contro le SS di Auschwitz nella rivolta dei Sonderkommando

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AGI -  C'era agitazione quella mattina di sabato 7 settembre 1944 tra i 663 deportati che appartenevano ai Sonderkommando, i "corvi neri dei crematori" e i "miserabili manovali della strage" come li chiamerà Primo Levi, in servizio giorno e notte ai cinque forni di Auschwitz-Birkenau. I nazisti hanno imposto ai giovani più robusti uno dei lavori più sporchi del lager e col criminale e aberrante disegno psicologico di farne complici materiali della Shoah: rassicurare gli ebrei scesi dai treni mentre li conducono alle finte docce dove saranno gassati dalle SS, poi tirare fuori i cadaveri e portarli ai crematori o bruciarli all'esterno con grandi roghi e infine smaltire e disperderne le ceneri. Le SS concedono piccoli privilegi nel vitto e nei movimenti e la falsa speranza di avere salva la vita, ma la ragione li inchioda alla realtà: sono i testimoni dei più immondi crimini dell'umanità, ne conoscono ogni fase e ogni aspetto, e prima o poi dovranno essere a loro volta necessariamente eliminati, come accade sistematicamente con le singole squadre. Questa notizia era filtrata tra le maglie naziste arrivando al cosiddetto Gruppo di lotta (Kampfgruppe) del Sonderkommando, e la resistenza interna ad Auschwitz aveva allertato che a mezzogiorno, come si vociferava da giorni, le SS avrebbero rastrellato circa 300 detenuti dei Sonderkommando dei crematori IV e V per avviarli a un trasporto. Ovvero alla morte.

La decisione di ribellarsi e di far esplodere un forno con granate artigianali

Durante il raduno sul piazzale vengono fatti i nomi dei 300 predestinati che decidono seduta stante di ribellarsi. A contribuire a rompere ogni indugio è l'irruzione di un prigioniero col triangolo verde, quindi un criminale comune tedesco, durante una riunione segreta del Gruppo di lotta in contatto esterno con la resistenza polacca, che minaccia di denunciare gli ebrei alle SS. Sono le sue ultime parole, poiché viene ucciso all'istante. Non si può più tornare indietro. Alle 13.25 a mani nude, oppure con martelli, asce, bastoni e pietre, gli ebrei attaccano il drappello delle guardie in arrivo al crematorio IV, che riescono a dare alle fiamme grazie all'esplosivo di cui sono venuti avventurosamente in possesso e con quale hanno realizzato granate artigianali che fanno esplodere. Hanno scelto di morire combattendo. I componenti del Kommando 59 B riescono a raggiungere il vicino boschetto, mentre quelli del 57 B del crematorio II, uditi gli spari e viste le fiamme, credono che sia il segnale dell'insurrezione generale del lager e con l'appoggio dei prigionieri russi si rivoltano all'Oberkapo, un tedesco etnico, disarmano una SS e poi gettano ambedue nel forno in funzione. Un'altra SS è uccisa, poi la recinzione di filo spinato che dà verso il campo femminile viene divelta e chi può tra le donne si dà alla fuga assieme agli altri.

La spietata rappresaglia con fuggiaschi arsi vivi e fucilazioni di massa

Non si ribellano invece i detenuti dei crematori III e IV perché le SS anticipano ogni loro mossa e li tengono sotto tiro, mentre le mitragliatrici e un intenso fuoco di fucileria spazzano l'area del boschetto. Altre guardie inseguono i fuggiaschi del kommando 57 B che si asserragliano a Rajsko in un granaio, subito dato alle fiamme dalle SS. Una squadra di detenuti assegnati ai servizi antincendio è subito mandata dal comando a spegnere le fiamme del crematorio. Davanti ai loro occhi si svolge la rappresaglia, con la cattura e la fucilazione sul posto dei ribelli, e poco dopo pure quanto accaduto a Rajsko, con 250 morti. Tutti quelli catturati vengono poi condotti davanti al crematorio IV, dove altri 200 deportati dei Sonderkommando sono fucilati dalle SS per dare l'esempio e per vendicare la morte dei tre sottufficiali Rudolf Erler, Willi Freese e Josef Purke. A quell'effimera rivolta non sono sopravvissuti neppure i capi Salmen Gradowski, Josef Warszawski (ma il vero nome è Josef Dorebus), Józef Deresiński, Ajzyk Kalniak, Lajb Langfus e Lajb Panusz (Herszko). I nazisti tengono un perentorio discorso nel quale minacciano di uccidere tutti i prigionieri se oseranno ribellarsi un'altra volta, quindi rimandano tutti i prigionieri al lavoro e i crematori di Auschwitz-Birkenau continuano a divorare le vittime della Shoah.

Il coraggio delle donne torturate e impiccate

Quella ribellione che avrebbe dovuto portare alla distruzione dei forni crematori interrompendo il funzionamento della fabbrica della morte e alla fuga di massa, non sarebbe stato possibile senza l'importantissimo contributo di quattro giovani ebree polacche destinate a pagare con la vita il loro coraggio: Róża Robota, Ella Gartner, Regina Safin ed Ester Wajsblum. Gartner, Safin e Wajsblum erano obbligate a prestare lavoro nella fabbrica di armamenti Weichsel-Union-Metallwerken che faceva parte della costellazione di produzione bellica attorno ad Auschwitz, la stessa dove era stata mandata Liliana Segre, e qui giorno dopo giorno avevano sottratto piccole quantità di esplosivo che venivano girate alla Robota, al lavoro invece nel deposito dei vestiti Kanada. La ragazza ventitreenne aveva nascosto il tutto per poi consegnarlo all'ebreo polacco Wrobel appartenente a un Sonderkommando. Il Dipartimento politico delle SS ci aveva messo poco a ricostruire da dove proveniva l'esplosivo, come era arrivato ai Sonderkommando e chi era stato a rifornire i ribelli. Le quattro giovani ebree polacche, arrestate già dal 10 ottobre, saranno sottoposte a crudeli torture e poi impiccate pubblicamente a due a due il 5 e 6 gennaio 1945.

La testimonianza di Liliana Segre e il racconto di Shlomo Venezia

Di rientro dal turno di lavoro in fabbrica la quattordicenne Liliana Segre vedrà i corpi appesi alla forca del piazzale, ancora preda degli spasmi perché i nazisti hanno voluto che morissero lentamente per soffocamento. Tra i pochissimi sopravvissuti dei Sonderkommando anche l'italiano Shlomo Venezia deportato da Salonicco a marzo 1944 e assegnato al crematorio III che non aveva partecipato alla rivolta. Nel 2007 consegnerà la sua testimonianza per la storia a un toccante libro edito da Rizzoli dove racconterà degli "automi che obbedivano agli ordini e cercavano di non pensare". Sempre Primo Levi scriverà che "aver concepito ed organizzato i Sonderkommandos è stato il delitto più demoniaco del nazionalsocialismo" perché "si tentava di spostare su altri, e precisamente sulle vittime, il peso della colpa, talché, a loro sollievo, non rimanesse neppure la consapevolezza di essere innocenti".

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