Sulla 'strada giovane' Nino cammina per tutti noi

5 ore fa 4

AGI - Chiunque lavori con la scrittura possiede storie conservate in chissà quali angoli del cervello. Sono storie, o personaggi, che ogni tanto fanno capolino, all'improvviso. Basta un clic, un flash. Ed eccoli lì. A volte sono echi del passato, a volte presenze che non si riesce, o non si vuole, lasciar andare. A volte sono dei veri soggetti, delle sceneggiature fatte e finite. Altre volte sono indici, citazioni, frasi appuntate in un post-it incollato in un'agenda. Sono ossessioni, contorni, riflessi. Nino, il protagonista de "La strada giovane" (Feltrinelli) deve aver fatto capolino così tante volte nella mente di Antonio Albanese, e in così tante forme, che alla fine è esploso in tutta la sua forza in un romanzo che è molto più di un romanzo. Dentro c'è la teatralità di un monologo potentissimo e la cinematografia di una porzione di vita che avanza per immagini, riprese, stacchi e primi piani.

In Nino, però, c'è soprattutto la voce del suo autore. "La strada giovane" è il primo romanzo di Antonio Albanese. Ma la maturità (e l'impegno) con cui è scritto, dall'incipit all'epilogo, lo rende tutto tranne che un esordio. Nino è un personaggio che, come ha raccontato lo stesso Albanese, l'autore ha conosciuto da bambino: un'espressione viva di una storia familiare autentica, tramandata con quell'orgoglio che solo la narrazione orale sa custodire.

Nino deve aver bussato più volte alla porta della vita di Albanese. Per un po', sono stati anche coetanei. E ora, forse nel momento più giusto, Nino ha trovato la sua forma definitiva: un volto, un carattere, uno sguardo, un bagaglio di sentimenti e un album di ricordi. È grazie a tutto questo che, alla fine, ha compiuto la sua impresa: fuggire da un campo di lavoro nazista, nel 1944, e attraversare a piedi i chilometri devastati che separano l'Austria da Petralia Soprana, il suo paese natale, nelle Madonie, in Sicilia. Lo stesso paese da cui provenivano i genitori di Antonio Albanese.

Dal freddo al caldo (e viceversa)

La prima parte del romanzo si svolge all'interno di un campo di lavoro, dove venivano internati nemici, disertori, prigionieri. È un ambiente cupo, severo, profondamente ingiusto. Un luogo dove la morte non sparisce mai davvero, e la paura — filo conduttore di tutta l'opera — accompagna giornate infinite, fatte di punizioni, esecuzioni, lavori massacranti. Nino affronta il freddo, che avvolge uomini e paesaggi senza pietà, aggrappandosi al calore della memoria. Al forno — Nino è un panettiere —, alla stufa. E poi ancora al ricordo del Natale, degli amici, forse perduti, forse ancora vivi come lui. Quando finalmente torna a casa, a 22 anni, sa che lo aspetta un altro viaggio: questa volta al contrario. Il calore della famiglia e dell'amore dovrà aiutarlo a combattere gli incubi della memoria. Le urla, le morti, la fame, il dolore.

Ed è proprio qui che emerge una delle frasi più belle di tutto il libro: Nino, ormai consapevole di non essere più il ragazzo di prima, fa una promessa silenziosa a sua moglie, Maria Assunta — ma prima ancora a sé stesso. Sono parole che raccontano Nino meglio di qualsiasi descrizione: "Ha promesso che cercherà di essere un marito non troppo difettoso. Cercherà di non spaventarla attraversando con lo sguardo la realtà delle cose, come invece ancora gli capita di fare." Non a caso, questa promessa non viene pronunciata ad alta voce, non sta dentro a un dialogo: è uno sguardo profondo dell'autore nel cuore del suo personaggio.

La fame, la paura, il mutismo

Nino perde tutto durante la fuga. Perde i compagni di fuga, abbattuti dai colpi di chi li insegue e di chi, diffidente, li incontra. Perde la dignità, costretto a elemosinare aiuto, a sporcarsi, ad aggrapparsi alla vita con ogni mezzo. Perde l'onestà, quando si ritrova a rubare, minacciare, sottrarre. Il suo viaggio all'inferno è un continuo strappare via strati di umanità superficiale, senza però mai perdere l'essenza: chi è, davvero; i valori che la famiglia gli ha trasmesso; i doveri verso sua moglie, verso gli amici caduti, verso il suo Dio.

La fame, sempre più feroce, amplifica la paura di morire, di essere trovato, di essere fucilato. E la paura genera silenzio. Nino è biondo, pallido, scheletrico: non ha nulla dell'aspetto di un siciliano. E quando si imbatte in potenziali alleati, partigiani o americani, spesso si blocca, incapace di raccontare la propria storia. È come se la voce gli si spegnesse. Solo avvicinandosi a casa, scendendo sotto Roma, ritrova lentamente le parole.

Gli oggetti servono, gli oggetti ti ancorano alla realtà

Una mappa, una foto

In questa storia c'è una mappa. Ma non serve per orientarsi: serve a ricordare a Nino chi l'ha posseduta prima di lui. È una reliquia, un frammento prezioso da custodire. Nino non sa davvero dove sta andando. La narrazione di Albanese è tutta concentrata su di lui: i luoghi contano poco, a meno che non raccontino la devastazione lasciata dalla guerra. Sappiamo solo che la strada è lunga, quasi senza cartelli, senza punti di riferimento. A guidarci è il clima che cambia, la neve che si scioglie, il mare che finalmente compare all'orizzonte.  C'è anche una foto. E conta tantissimo. Nino la porta sempre con sé, nascosta ma mai troppo lontana. È la prova che, oltre la guerra e oltre la miseria, esiste ancora un posto a cui tornare. Un posto da cui ripartire. Una strada giovane, da seguire.

Non c'era nessuno intorno e guardando giù vide che era una strada strana, non piena di buchi e rovinata come tutte quelle che aveva visto finora, ma una strada che sembrava rifatta di fresco. Una strada giovane

Per le nuove generazioni

"La strada giovane" è un libro che si legge tutto d'un fiato. Perché, da lettori, non vogliamo mai davvero abbandonare Nino al suo destino — né tra le montagne delle Alpi, né nelle interminabili camminate in pianura. Anche quando capiamo che un sognatore come lui ha dentro di sé la forza per arrivare fino in fondo. Ed è qui che scatta il collegamento più forte con il presente.

In più interviste, Antonio Albanese ha raccontato che questo libro è un omaggio alle nuove generazioni: a quel potenziale straordinario che troppo spesso viene soffocato da mille ostacoli. Ogni giovane è in viaggio. Spesso da solo, alimentato solo dai ricordi di casa e dai suoi sogni. Nino, a 22 anni, diventa così il regalo di Albanese a ciascuno di loro: un invito ad andare avanti, nonostante tutto. Nonostante la paura, la fame, il dolore. Sempre seguendo i propri valori, sempre inseguendo i propri traguardi.

Alla fine, ci sono personaggi che sembrano cercare disperatamente un autore. Pirandello lo aveva capito prima di tutti. Ma i personaggi più autentici, i più vivi, sono quelli di cui l'autore stesso si innamora perdutamente. E in questo libro, lo senti in ogni pagina l'amore folle di Albanese per Nino. Soprattutto adesso che è diventato realtà.

 

 

 

 

Leggi l'intero articolo