Quella volta che Eisenhower consegnò Berlino a Stalin 

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AGI - «Se vi chiedono di Berlino, rispondete che non ci interessa». Alla fine del 1943 gli inglesi avevano combattuto l'unica battaglia casa per casa sul fronte occidentale a Ortona, sull'appendice adriatica della Linea Gustav, avevano perso una divisione e non intendevano ripetere quell'esperienza devastante che rivelò alla psichiatria lo shock da battaglia. Era stato Winston Churchill a predicare prudenza con gli alti comandi sulle domande dei corrispondenti di guerra, perché la lezione di Ortona era stata dura «e da essa molto imparammo», come scriverà nelle sue memorie. Ma a marzo 1945 nel mirino del premier britannico Berlino c'era finita davvero: lì, in un bunker, era asserragliato Adolf Hitler e prendere la capitale del Terzo Reich significava farla finita con la seconda guerra mondiale ed entrare nella storia da trionfatori. 

 


  
L'incontro sul Reno, il disappunto di Churchill e la rabbia di Montgomery e dei generali inglesi 
  
La corsa per Berlino era in contrapposizione a Iosif Stalin e alla sua poderosa Armata Rossa che sul fronte orientale si muoveva adesso da rullo compressore contro la disperata ma sempre tenace difesa tedesca. A occidente invece la presa del ponte di Remagen e l'abile conduzione strategica degli americani aveva provocato il crollo della Wehrmacht che agli osservatori politici sembrava adesso un invito a fare presto a entrare nel cuore della Germania per tenere i sovietici il più lontano possibile. Per di più in Italia era stata tessuta una segretissima trattativa per la resa di tutte le truppe tedesche, svolta all'insaputa di Stalin che quando lo seppe andò su tutte le furie. Il 24 marzo il comandante supremo alleato Dwight Eisenhower si era incontrato in una zona del fiume Reno con Churchill, il comandante del XXI Corpo d'armata Bernard Law Montgomery e il coordinatore delle forze militari britanniche generale Alan Brooke. Montgomery era convinto di ricevere in questa occasione l'ordine di puntare verso nord e attaccare Berlino, ma invece si vedrà sottrarre la 9ª Armata americana del generale William Simpson ricevendo l'incarico di dirigersi verso Amburgo e la Danimarca. Il XII Gruppo d'armate del generale Omar Bradley, rinforzata dalle truppe di Simpson, avrebbe investito la Germania centrale per poi indirizzarsi su Dresda e Lipsia, e il VI Gruppo dell'appena promosso generale Jacob Devers contro Austria e Baviera. 

 


  
Il dispaccio SCAF 262 con il piano operativo recapitato in russo al Cremlino 
  
La preoccupazione di Eisenhower era che Hitler potesse davvero concentrare le sue forze nel cosiddetto “Ridotto alpino”: Berlino, come scriverà nelle memorie, era un obiettivo dal punto di vista politico e psicologico, ma non strategico. Churchill, invece, nell'incontro del 24, era assolutamente favorevole ad arrivare nella capitale prima dei sovietici ed era rimasto basito per il cambio di strategia non concordato con gli inglesi ma calato dall'alto. Ed era furente, senza far nulla per nasconderlo, e così i suoi responsabili e capi militari come Arthur Tedder e Brooke. Il 31 marzo la decisione era stata formalizzata in un dispaccio del Supreme Council of the Army Force (documento SCAF 252) pervenuto al Cremlino alle 20.00 anche nella traduzione in russo attraverso gli ambasciatori americano e britannico, Averell Harriman e Archibald Clark Kerr. Stalin annuì soddisfatto ma non disse né sì né no, nonostante i diplomatici sollecitassero una sua risposta urgente, perché prima voleva consultarsi col suo stato maggiore, e quindi rinviò tutto all'indomani. Nel frattempo convocò i Marescialli Georgj Žukhov e Ivan Konev. Questi, in base ai rapporti del controspionaggio, erano ancora orientati a ritenere che Montgomery avrebbe sostenuto l'attacco principale su Berlino mentre l'americano George Patton ne avrebbe condotto uno da sud con la sua 3ª Armata. Addirittura la Stavka, il comando supremo delle forze sovietiche che dipendeva direttamente da Stalin, ipotizzava un lancio massiccio di paracadutisti alleati sulla capitale. Non è escluso che fosse stato il dittatore, con quel documento realizzato a bella posta, a mettere alle strette i suoi strateghi che amava far rivaleggiare. E chiese a bruciapelo: «Chi prenderà dunque Berlino? Noi o gli angloamericani?». Domanda retorica. 

 

 


  
L'inganno del dittatore sovietico agli angloamericani 
  
Vennero presentati subito i piani operativi che Stalin approvò all'istante. L'Armata Rossa schierò due milioni e mezzo di soldati, oltre 41.000 pezzi d'artiglieria, più di 6.200 carri armati e circa 7.500 aeroplani da caccia e da bombardamento. A questa massa impressionante di uomini e mezzi i tedeschi non potevano opporre che poco meno di 900.000 combattenti, tra cui anziani riservisti del Volksturm e ragazzini della Hitlerjugend, circa millecinquecento mezzi corazzati, novemila cannoni e appena 1.700 aeroplani di varia natura e con scarso carburante. Il primo aprile Stalin si rivolse direttamente a Eisenhower comunicandogli che approvava il suo piano che guarda caso «coincideva in pieno» con quelli della Stavka, informandolo che l'offensiva generale sarebbe iniziata verso la metà di maggio; nel frattempo, naturalmente, potevano verificarsi modifiche dettate dalle circostanze.

Era la via che il dittatore sovietico si era lasciata aperta per avere mano libera sulla tempistica e sulle modalità. L'importante per lui era che gli angloamericani si tenessero ben lontani da Berlino. Aveva visto giusto Churchill, nella programmazione della ricongiunzione degli eserciti che stringevano la Germania in una morsa, quando aveva confidato che la stretta di mano tra soldati russi e Alleati doveva avvenire «il più a est possibile». Ma in proiezione futura non aveva avuto torto Eisenhower: anche se la sua decisione era maturata attraverso un'analisi sbagliata in un contesto storico, militare e strategico complesso e fuorviante, alla fine si rivelerà quella migliore. La battaglia per Berlino sarà pagata dai sovietici ad altissimo prezzo e costerà la vita a mezzo milione di soldati. 
  

 

 

 

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