Perchè la guerra dei dazi alla Cina mette nei guai Apple

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AGI - Tutti gli iPhone hanno un'etichetta che ne certifica la progettazione in California, ma nove su dieci sono realizzati in Cina. Apple vende oltre 220 milioni di iPhone l'anno e dagli schermi alle batterie, molti dei componenti vengono realizzati e poi assemblati in Cina - il Paese più colpito dai dazi di Trump - per diventare iPhone, iPad o Macbook, che vengono per la maggior parte spediti negli Stati Uniti, il mercato più importante per l'azienda della mela.


Forse tenendo conto di questo, e del conseguente tonfo dei mercati, Trump la settimana scorsa ha esentato smartphone, computer e altri dispositivi elettronici dai dazi. Ma, sostiene un long form della bbc, la tregua potrebbe avere durata breve: il presidente americano ha lasciato intendere che potrebbero arrivare altri dazi. "Nessuno se la caverà", ha scritto in un post su Truth, mentre la sua amministrazione sta facendo le pulci "ai semiconduttori e all'intera catena di approvvigionamenti dell'elettronica".

Quando Cupertino arrivò in Cina

La catena di fornitura globale sbandierata da Apple come un punto di forza è diventata un punto debole. Apple è entrata in Cina negli anni Novanta per vendere computer tramite fornitori terzi. Intorno al 1997, quando era sull'orlo del fallimento, la società di Cupertino ha trovato una via d'uscita proprio nel Paese asiatico: la giovane economia cinese si stava aprendo alle aziende straniere per rilanciare la produzione e creare più posti di lavoro. Fu solo nel 2001, tuttavia, che Apple arrivò ufficialmente in Cina, tramite una società commerciale con sede a Shanghai, e iniziò a produrre nel Paese. Iniziò allora la collaborazione con Foxconn, un produttore di elettronica taiwanese operante in Cina, per produrre iPod, poi iMac e infine iPhone.

Quando Pechino iniziò a commerciare con il mondo, incoraggiata dagli Stati Uniti, Apple espanse la sua presenza in quella che stava diventando la fabbrica del mondo. All'epoca, la Cina non era pronta a produrre l'iPhone. Ma Apple scelse i propri fornitori e li aiutò a diventare "superstar della produzione". Apple apri' il suo primo store nel Paese, a Pechino, nel 2008, l'anno in cui la città ospitava le Olimpiadi e il rapporto tra la Cina e l'Occidente raggiunse il massimo storico. In breve il numero di negozi arrivò a 50. 

Man mano che crescevano i margini di profitto di Apple, aumentavano anche le linee di assemblaggio in Cina, con Foxconn che gestiva la più grande fabbrica di iPhone al mondo a Zhengzhou, da allora soprannominata "iPhone City".


Oggi, la maggior parte degli iPhone è prodotta da Foxconn. I chip avanzati che li alimentano sono realizzati a Taiwan, dal più grande produttore di chip al mondo, TSMC. La produzione richiede anche terre rare, utilizzate in applicazioni audio e fotocamere. Secondo un'analisi di Nikkei Asia, circa 150 dei 187 principali fornitori di Apple nel 2024 avevano stabilimenti in Cina.
"Non esiste una catena di fornitura al mondo più cruciale per noi della Cina", ha affermato Tim Cook, Ceo di Apple, in un'intervista dell'anno scorso.


Durante il primo mandato di Trump, Apple ha ottenuto esenzioni dai dazi imposti alla Cina. Questa volta, invece, le cose vanno in maniera diversa e l'amministrazione americana ritiene che la minaccia dei dazi possa indurre le aziende a produrre negli Stati Uniti. Non a caso il segretario al Commercio Howard Lutnick ha ricordato "l'esercito di milioni e milioni di esseri umani che avvitano piccole viti per costruire gli iPhone, assicurando che "tutto questo arriverà in America".
Ma molti sono scettici su questa strategia. L'idea che Apple possa spostare le sue attività di assemblaggio negli Stati Uniti è "pura fantasia", secondo Eli Friedman, che in passato ha fatto parte del comitato consultivo dell'azienda. Friedman ha ricordato che Apple sta cercando di diversificare la catena di fornitura dal 2013, ma che gli Stati Uniti non sono mai stati un'opzione sul tavolo.

"Le nuove sedi più importanti per l'assemblaggio sono Vietnam e India. Anche se la maggior parte dell'assemblaggio Apple avviene ancora in Cina" ha detto.

Apple crocevia delle tensioni

 Qualsiasi modifica all'attuale status quo della catena di approvvigionamento di Apple rappresenterebbe un duro colpo per la Cina, che sta cercando di rilanciare la crescita post-pandemia. Peraltro, "Apple si trova al crocevia delle tensioni tra Stati Uniti e Cina, e i dazi evidenziano i costi di tale esposizione", come afferma Jigar Dixit, esperto di catene di approvvigionamento.

Per il gigante asiatico essere il polo manifatturiero del mondo è ancora un punto strategico fondamentale. Per questo non si è piegato alle minacce di Trump, rispondendo al contrario con contro-dazi al 125% sui prodotti Usa. La Cina ha anche imposto controlli sulle esportazioni su una serie di terre rare e materiali critici: un danno non da poco per gli Stati Uniti.


Inoltre, non è solo Pechino a subire l'aumento dei dazi: Trump ha chiarito che prenderà di mira i Paesi che fanno parte della catena di approvvigionamento cinese, tra cui il Vietnam, dove Apple ha trasferito la produzione degli AirPods. "Gli enormi siti di assemblaggio della Foxconn, con decine o centinaia di migliaia di lavoratori, si trovano tutti in Asia, e questi Paesi si trovano ad affrontare dazi più elevati", afferma Friedman.

Per correre ai ripari, Apple ha annunciato un investimento da 500 miliardi di dollari negli Stati Uniti, anche se potrebbe non essere sufficiente a placare l'amministrazione Trump nel lungo periodo.

"La crisi è stata arginata nell'immediato", rileva Friedman, riferendosi all'esenzione per gli smartphone della scorsa settimana. "Ma non credo proprio che questo significhi che Apple possa rilassarsi troppo". 

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