La risposta di Giuliana Sgrena "Me la sono andata a cercare"

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AGI - A vent'anni di distanza dal suo rapimento e liberazione i Baghdad, Giuliana Sgrena risponde a chi l'ha accusata di essersela andata a cercare. La giornalista de Il Manifesto in un libro edito da Laterza, "Me la sono andata a cercare - diari di una reporter di guerra", pubblica gli appunti delle sue trasferte in giro per i fronti caldi della terra: Afghanista, Eritrea, Somalia, Algeria, Kurdistan. Ogni capitolo è dedicato a un luogo, ma anche alle tante persone incontrare durante il cammino, alle Ong che spesso sono state un tramite per entrare in paesi difficili, ai colleghi e alle tante donne che stanno ancora facendo la rivoluzione. 

Sgrena restituisce in queste pagine un racconto autentico delle sue missioni, delle difficoltà che può incontrare un inviato di un giornale con pochi mezzi come Il Manifesto e in queste pagine ricorda anche i rimbrotti di Gino Strada, che nelle sedi di Emergency oltre a prestarle la connessione wi-fi, non ha mancato di offrire anche un piatto di pasta. Ma quando internet non era ancora uno strumento di lavoro e alla portata di tutti, allora bisognava mettersi in fila per dettare il pezzo all'unico telefono dell'albergo mettendosi d'accordo con i colleghi anche internazionali, per rispettare la fila in base all'orario di chiusura delle rispettive redazioni. Il giornalismo di guerra diventa soprattutto un giornalismo di sopravvivenza, fatto di cose molto pratiche, di soluzioni da cercare in ogni istante, di soldi da sganciare per un passaggio. 

 

 

Da qui il titolo: "Me la sono andata a cercare" per dire che ogni volta, e non solo in quel 2005, Sgrena se l'è andata a cercare. Ogni volta è stato corso un rischio, ma semplicemente perché i territori più caldi sono anche per natura i più insidiosi. Andarsela a cercare in fondo è uscire dal proprio recinto, mettersi in mezzo alle cose, per restituire ai lettori un racconto quanto più vicino alla realtà e alle persone. Nel libro non manca un pensiero a due amiche e colleghe che oggi non ci sono più perché morte nei territori che stavano raccontando: Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutuli. 

Ovviamente nel libro non manca un capitolo dedicato al periodo del rapimento nel febbraio del 2005 e alla dolorosa liberazione che ha visto la morte dell'agente Nicola Calipari, al quale recentemente è stato dedicato un film "Il Nibbio". Ma se quel periodo di detenzione è stato spesso oggetto di racconto, Sgrena in queste pagine ci regala il racconto del ritorno a Baghdad e della ricerca di quei luoghi che l'hanno segnata per sempre. La strada dell'aeroporto dove l'auto dove viaggiava con Calipari è stata colpita 58 volte, di cui 57 verso l'abitacolo. Impossibile non uccidere. Ecco su quella strada per ben due volte, Sgrena racconta di aver visto il buio. Segno di un trauma che forse non passerà mai, ma che per questo non andava taciuto. Ancora una volta sul campo, quello più doloroso, questa reporter ci dà una lezione di umanità e giornalismo.   

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