La band fantasma che ha conquistato Spotify

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AGI - Una band sconosciuta, senza traccia sul web e con membri che non esistono. Eppure The Velvet Sundown, come racconta El Pais, ha superato gli 850.000 ascoltatori mensili su Spotify. Il loro segreto? Chitarre morbide, voci maschili avvolgenti e una verità scomoda: ogni nota, ogni parola, ogni immagine è stata generata dall’intelligenza artificiale. Nessuno dei volti presenti nella foto profilo su Spotify corrisponde a un essere umano reale. La musica non è suonata da musicisti. La band, in senso stretto, non esiste. O almeno questo è quello che emerge cercando di approfondire la loro storia e la loro produzione musicale.

A far emergere il caso è stata la rivista Rolling Stone, che ha acceso i riflettori su quello che sembra essere il primo caso virale di band interamente creata da un modello generativo, senza alcun intervento umano nella composizione o nell’esecuzione. Un portavoce della band – o meglio, un presunto portavoce, tale Andrew Frelon – aveva inizialmente dichiarato che i brani erano stati composti usando Suno, una piattaforma gratuita che consente di trasformare input testuali in musica. Poi la verità: lo stesso Frelon ha ammesso di essersi inventato tutto, inclusa la sua affiliazione con la band. “Era una messinscena deliberata per ingannare i media”, ha dichiarato. Anche lui, insomma, non esiste, in un corto circuito continuo. Il livello di confusione è tale che persino la pagina verificata della band su Spotify ha pubblicato un comunicato in cui prende le distanze sia dal sedicente portavoce, sia dall’account su X che millantava di rappresentarli.

Nel frattempo, la piattaforma musicale Deezer ha confermato che i suoi sistemi di rilevamento hanno etichettato i brani come “100% generati dall’intelligenza artificiale”. Spotify, per ora, resta in silenzio. Il CEO Daniel Ek, però, in un’intervista alla BBC del maggio scorso, aveva già dichiarato che non intende vietare la musica creata da IA, a meno che venga utilizzata per imitare artisti esistenti.

Cosa ci aspetta

Secondo Gina Neff, docente presso il Minderoo Centre for Technology and Democracy dell’Università di Cambridge, il caso The Velvet Sundown è solo la punta dell’iceberg: “Forse non importa se una band sia o meno generata da IA”, ha detto alla BBC, “ma importa che sta diventando sempre più difficile distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è”.

Il caso riaccende anche il dibattito sui diritti d’autore e sull’uso di opere umane per addestrare i modelli di intelligenza artificiale. Artisti del calibro di Elton John e Dua Lipa hanno già tentato, finora invano, di spingere il governo britannico a regolamentare l’utilizzo delle loro opere nei dataset di addestramento. “Questo è esattamente ciò che temevamo: un furto mascherato da innovazione”, ha dichiarato più volte Ed Newton-Rex, fondatore dell’organizzazione Fairly Trained, che tutela i diritti dei creatori.

Anche l’industria discografica comincia a muoversi: Sophie Jones, responsabile strategica di BPI, l’associazione che rappresenta l’industria musicale nel Regno Unito, ha affermato che The Velvet Sundown “rafforza tutte le preoccupazioni che da tempo esprimiamo sul rapporto tra intelligenza artificiale e diritti musicali”.

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