AGI - Quella che doveva essere una festa di sport, la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, si trasformò il 29 maggio 1985 in una tragedia immane. Quarant'anni dopo, Rai Due riaccende i riflettori su uno dei giorni più drammatici della storia del calcio con 'Heysel 1985', docufilm firmato da Alessandro Galluzzi, in onda giovedì 29 maggio in prima serata.
Un racconto potente, essenziale, che ricostruisce con rigore giornalistico ed emozione trattenuta il precipitare degli eventi in quella curva Z dello stadio di Bruxelles, dove persero la vita 39 persone. Girato tra Italia, Belgio, Regno Unito e Svizzera, il film si sviluppa senza voce narrante, affidandosi interamente ai testimoni diretti: calciatori, giornalisti, tifosi, familiari delle vittime.
Tra loro, volti noti come Stefano Tacconi, Zbigniew Boniek, Beniamino Vignola, l'arbitro Andre' Daina, il difensore del Liverpool Mark Lawrenson, i giornalisti Carlo Nesti e Marino Bartoletti. Ma anche chi non aveva mai parlato prima: sopravvissuti, madri, figli, fratelli. E persino uno degli hooligan condannati per i fatti dell'Heysel, Terry Wilson, che accetta di confrontarsi con il peso della memoria.
Il materiale d'archivio - fornito da Rai Teche e da fonti private - dialoga con immagini amatoriali inedite, ricostruzioni mai indulgenti e una ricerca documentaria minuziosa. Ne emerge un quadro composito, dove la cronaca si intreccia alla responsabilità, alla colpa collettiva, al silenzio durato decenni. A fare da filo conduttore, il dolore ancora vivo di chi ha perso un familiare e la dignità con cui l'Associazione Vittime Heysel ha tenuto accesa la fiamma del ricordo.
Prodotto da Verve Media Company in collaborazione con Rai Documentari, struttura guidata da Luigi de Plavignano, il docufilm si inserisce nel solco dei grandi racconti civili della Rai: una narrazione che non cerca effetti speciali, ma consegna alla memoria collettiva una verità ancora aperta. 'Heysel 1985' non è solo un documentario: è un atto di restituzione civile, un omaggio sobrio e necessario. Non c'è retorica, non c'è spettacolo. C'è la consapevolezza che quel giorno ha cambiato per sempre il modo di intendere lo sport e la sua fragilità. Un promemoria duro e lucidissimo: perche' ricordare non e' mai solo un esercizio del passato, ma un impegno verso il futuro.