"Buono per incartare il pesce": il giornalismo visto dal di dentro

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AGI - “Se la notizia è vera ma fa del male a qualcuno inconsapevole la scrivi lo stesso? Se è una notizia, la scrivo. Non sta a me decidere se è etica o meno. Solo verificare che sia vera. Altrimenti la scrive comunque qualcun altro”. Tantissimi giornalisti si sono posti durante la loro carriera questo interrogativo, divisi tra il dovere e – perché no – il piacere di informare e l'ipotesi di nuocere a qualcuno, e chi è del settore sa benissimo che può accadere. E questo è uno degli affascinanti aspetti di un mestiere che Willy Labor nel suo romanzo d'esordio – “Buono per incartare il pesce”, edizioni Castellecchi – descrive con uno stile semplice, raccontando una storia intrigante e che vede come protagonista un cronista triestino, scapolo, prossimo ai quarant'anni e che si trova a fare i conti con la sua coscienza.

Gianni Crevatin, questo il nome, vive quello che per un giornalista è fonte di adrenalina e che alimenta la passione di una professione che poco a che vedere con la routine: fa cioè uno scoop, ottenuto senza troppi scrupoli, che lo rende famoso e gli cambia la vita ma che lo porta anche a confrontarsi con i limiti e l'etica della sua professione.

L'autore

Labor è un giornalista di lungo corso – dopo aver collaborato con vari giornali, ha lavorato per molto tempo all'Agi come capo servizio occupandosi di economia e cronaca parlamentare prima di approdare a Unioncamere dove lavora come responsabile della comunicazione e dell'Ufficio stampa - e dalle pagine del libro si evince che molto c'è d'autobiografico, non nel vissuto del racconto ma nei pensieri e nelle riflessioni del protagonista.

Fa da sfondo la città di Trieste e anche il Vietnam dove per varie peripezie Crevatin si troverà a recarsi per un viaggio inatteso. Poi l'incontro con una giovane donna che amplifica i suoi dubbi e completa un romanzo sul giornalismo visto veramente dal di dentro. In fondo si tratta di una professione che nonostante sia spesso criticata, indubbiamente incanta chi la fa, e chi la vorrebbe fare. Non a caso, un motto coniato dal celebre Luigi Barzini jr e ricordato per scherzo tra gli addetti ai lavori, è proprio questo:“Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare”.

 

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