AGI - Ha dato all'anima popolare la nobiltà del classico, e al folk una nuova stagione da evergreen. Roberto De Simone ha coniugato nella sua esperienza artistica i linguaggi degli studi e quelli dell'osservazione, le lezioni dei grandi del passato e una nuova e approfondita sensibilità verso il repertorio tradizionale, che seppe vestire con inventiva senza stravolgerne la genuinità.
È stato un musicista a tutto tondo, un autore di teatro che è andato oltre il teatro, un uomo di spettacolo senza inseguire la spettacolarizzazione delle sue creazioni. Nato nel 1933, al bianco e nero del pianoforte si accostò ad appena sei anni, e alla tastiera ha dato i colori dell'interprete e del musicologo, infrangendo poi i confini tra generi e stili: Mozart, Beethoven e il conservatorio per arrivare ai linguaggi dell'universalità, Napoli per percorre i mille rivoli di una cultura stratificata, originale, inconfondibile, a sua volta ponte nel tempo e nella ragione.
Dai grandi autori classici ai classici della canzone
De Simone colse subito le qualità non totalmente espresse dalla tradizione, oltre le tipizzazioni da cartolina illustrata, svecchiando quelli che erano ormai caratteri tipici e strabusati nella loro reiterazione. Una folgorazione che lo portò alla scelta meditata e felice di abbandonare la musica classica come concertista, per cui aveva già abbondantemente dimostrato di avere la stoffa ben prima di conseguire il diploma al Conservatorio San Pietro a Majella, per percorrere altre strade: quelle meno battute e più intriganti per la sua curiosità intellettuale. Si sarebbe occupato della sua musica inserendola nella sua napoletanità, riscoprendo la produzione della scuola partenopea e innervandola con partiture originali per la tv e per la scena, collaborando pure con la sempre rimpianta Orchestra Scarlatti della Rai di Napoli, e aprendo a quello straordinario laboratorio di idee e progetti che è stata la Nuova compagnia di canto popolare, con Eugenio Bennato, Carlo D'Angiò e Giovanni Mauriello, e poi pure con Beppe Barra. Da quel crogiuolo il repertorio del meridione riemerse con una forte carica di energia rivivificante, riportando in auge forme confinate ai localismi come pizzica, tarantella e tammuriata.
Il rifiuto degli stereotipi e il plauso a Pino Daniele
Poliedrico tanto nella formazione quanto negli interessi, De Simone guardò con sempre maggior attenzione al teatro, come regista, di cui non si può assolutamente sottacere “La gatta Cenerentola”, opera basata sull'omonima fiaba di Giambattista Basile, che fece diventare un classico di repertorio. Traghettò la canzone napoletana al di là delle secche degli stereotipi, indicando nuove direzioni all'espressività popolare e abbattendo le sbarre dell'oleografia e del conformismo. Non a caso vide convintamente nella musica di Pino Daniele una voce importante e originale dell'anima partenopea che si esprimeva con i linguaggi della modernità. Quella stessa napoletanità che aveva già individuato Igor Stravinskij visitando una città che sentì di amare profondamente, facendosene trascinare e conquistare, e che in qualche modo omaggiò col suo “Pulcinella”.
La cultura viva contro la tradizione ingessata
De Simone era contro la napoletanità esibita come un biglietto da visita, passepartout artefatto, o il culto ingessato di una tradizione che veniva citata senza conoscerla e senza condividerla nel segno dell'appartenenza. La cultura napoletana era, ed è, bassa e alta nello stesso tempo. Figlio del Novecento, ha attraversato il secolo breve e ha traghettato il suo modo di intendere l'humus artistico e culturale di un popolo nel secondo millennio come se dovesse testimoniare quanto di buono era stato fatto e quanto ancora c'era da fare. Non si accontentò mai della ricchezza della tradizione orale e andò alla ricerca del terreno di coltura della storia, affiancando il folk da vivere ai madrigali da capire, come quelli di Gesualdo da Venosa, allo stesso modo in cui firmava musiche originali e gli allestimenti registici per le opere di Giuseppe Verdi, Gioachino Rossini, e il sempre amato Wolfgang Amadé Mozart. La musica gli apparteneva perché la studiava e ne faceva oggetto di ricerche, studi approfondimenti. Si è congedato dalla sua Napoli e dalla vita terrena a 91 anni, e non c'è applauso nella sua uscita di scena che possa sottolinearne appieno la grandezza.